ORRORE E PIETAS. Bergman “il giardino della conoscenza è aperto a tutte le classi sociali”

ORRORE E PIETAS. Bergman “il giardino della conoscenza è aperto a tutte le classi sociali”

ORRORE E PIETAS. Bergman “il giardino della conoscenza è aperto a tutte le classi sociali”

Sinfonia d’autunno è un film del 1978 diretto da Ingmar Bergman ed è l’ultimo film realizzato dal regista appositamente per il cinema. Bergman lo pensò inizialmente con il nome con il titolo provvisorio di Madre, Figlia e Madre.In verità il titolo originale del film, Höstsonaten, andrebbe tradotto con sonata e non con sinfonia com’è invece stato tradotto in italiano. La parola sonata è fondamentale per comprendere il taglio che Bergman vuol dare alla sua opera. Se infatti una sinfonia viene composta per l’orchestra, una sonata è un brano per strumenti, così come i personaggi del suo film, che sono dei solisti che si confrontano. Il film venne criticato da alcuni per una certa incompiutezza nella forma e per l’estrema concisione, ma viene tutt’oggi considerato il film bergmaniano per eccellenza, forse il più bergmaniano di tutti: Piera Detassis lo ha definito “Un bisturi che affonda le sue lame in uno dei sentimenti più nobili dell’essere umano: l’amore filiale”. E’ stato considerato infatti come una resa dei conti fra madre e figlia: Eva la figlia maggiore, interpretata da Liv Ullmann, e la madre Charlotte, interpretata da Ingrid Bergman. Si avverte spesso una difficoltà a vedere i film di Bergman in un contesto più ampio dei rapporti familiari segnati dalla cupezza del protestantesimo svedese che mette in scena.

A mio avviso lo sfondo è più complesso. Bergman, che nacque nel 1918, visse l’adolescenza e la giovinezza negli anni in cui in Svezia a capo del governo c’era Hjalmar Branting, che si proponeva di guidare la socialdemocrazia svedese in una prospettiva occidentale e liberale costruita sui valori dell’individuo. Il progetto fu bloccato all’inizio degli anni Trenta dall’ala ideologicamente più radicale del partito socialdemocratico, che si scisse nel 1917 per dar vita al Partito comunista svedese, il SAP, più vicino all’Unione Sovietica. Questa parte prese il sopravvento dando vita uno “Stato Etico” in cui l’istituzione statale diveniva il fine ultimo a cui dovevano tendere le azioni dei singoli individui. Il SAP ha governato ininterrottamente dal 1932 al 1976. Uno Stato molto rigido con una grande capacità di propaganda, come era proprio di quegli anni in gran parte dell’Europa.

Il tema della coazione all’uguaglianza e del ricorso alla violenza inteso a inibire l’altrui libertà d’azione, è stato poco approfondito parlando della cinematografia di Bergman, mentre è un tema che il regista viveva con profondo malessere e con affannata disperazione, come si avverte anche in Crisi del 1946 e negli altri film degli anni Quaranta. Il suo malessere e la disperazione non avevano radici politiche o ideologiche: si trattava della sua vita emotiva, della coazione dei sentimenti. Riaffiorano ripetutamente a galla i temi delle pellicole precedenti: l’imbarazzo e la subordinazione di una classe poco abbiente che aspira alla stessa sete d’intraprendenza del ceto superiore, il disadattamento sociale e la dignità personale. L’amore è unica àncora di salvezza. Come scrive Leif Zern nel suo Vedere Bergman in quegli anni gli svedesi si consideravano – e in gran parte ancora adesso – “latte e fragole” dimenticando di essere anche acquavite, roghi e streghe. Bergman sentiva queste amputazioni, questa menzogna nel suo intimo.

Per lui era come svegliarsi ogni mattina consapevole che la propria unicità di individuo veniva negata dalla legge, dalla scuola, dallo stesso mondo intellettuale oramai sempre più popolato da scrittori operai o operaisti e da accademici e intellettuali in torri di avorio ma privi di un’attiva cultura critica. La ideologia dominante voleva – forse ancora oggi vuole – un cittadino sano e pronto ad agire per il bene sociale e dello Stato. Era un’ ideologia organizzata e sostenuta, applicata in un progetto politica quasi perfetto, che premiava i “buoni” con un’assistenza sociale invidiata da tutta l’Europa, ma che puniva i “trasgressivi” con sterilizzazioni, castrazioni chimiche e isolamento. Fu così che tra il 1936 e il 1974 furono sterilizzate 63.000 persone, la maggior parte donne, o perché nate con malformazioni o malattie ereditarie, perché conducevano una vita promiscua o perché alcolizzate o quasi: tutte cose considerate pericolose per la sanità della popolazione svedese, ma soprattutto per il sistema.

Marco Sgrosso, porta in scena in questi giorni un progetto su Bergman con tre attrici. Dice che benché nei film di Bergman i personaggi con le loro storie siano al centro della nostra attenzione, tuttavia si avvertono costantemente sussurri e brusii provenienti dal mondo esterno e dal sottosuolo. Nei film di Bergman allora vediamo queste donne, infelici e malate, in una prospettiva da incubo, proprio come avviene quando uno Stato penetra con leggi ingiuste nella vita privata dei cittadini, ne stravolge i valori, eliminando la responsabilità delle scelte degli individui, cancellando attraverso la legge il sentimento della pietà e della condivisione.

Poteva Bergman sottrarsi alla devastazione dei sentimenti provocata dallo Stato Etico svedese? “L’artista assorbe tutto il proprio tempo” diceva Erland Josephson, l’attore più amato da Bergman. Ed allora ecco gli sconvolgenti mugolii di Helena la più giovane delle due figlie della pianista Charlotte in Sinfonia di autunno. Contratta nel suo letto Helena non può articolare le parole, tesa, paralitica e mugolante.

Un dialogo fra Eva, la figlia maggiore di Charlotte e la madre:

EVA Mamma, tu non stavi mai con noi, Helena ed io stavamo sempre sole.

Helena non aveva ancora un anno quando te ne sei andata di casa.

CHARLOTTE Allora è colpa mia se la malattia di Helena è diventata inguaribile.

EVA Credo proprio di sì.

CHARLOTTE Tu dici che la malattia di tua sorella …

EVA Credo proprio di sì.

CHARLOTTE Non lo penserai sul serio

EVA E quando Helena si è aggravata tu l’hai rinchiusa in una casa di cura.

CHARLOTTE Non può essere vero.

Un dialogo senza vie d’uscita: se Helena è deforme e ammalata deve esserci una colpa precisa e riconoscibile e Eva ne accusa la madre Charlotte. A sua volta Charlotte è cresciuta in una famiglia dove non c’era espressione di sentimenti “Mai uno schiaffo, mai una carezza – dice Charlotte – Non sapevo niente dei sentimenti … nella musica li ho trovati e posso esprimerli”. Charlotte è un’artista, nel senso che condivide i propri sentimenti con il pubblico, ma questo aspetto dell’arte non era accettato in Svezia ai tempi di Bergman e non lo è in gran parte ancora oggi: l’arte ha una funzione di divulgazione dei principi del bene sui quali dovrebbero configurarsi anche le leggi. Per Eva, la figlia, gli esseri umani non sono individui unici, per lei sono tutti uguali: ”Mamma – dice – per me l’uomo è una creatura incredibile, fantastica, l’uomo ha tutto dentro di sé: la colpa e la innocenza …. Dio ha creato l’uomo a sua immagine, e in Dio c’è ogni cosa … ogni uomo somiglia a Dio. Gli assassini, i profeti, gli artisti … vivono uno accanto all’altro senza contraddizioni, sono immagini che si completano, capisci? senza confini…”

Quando Charlotte viene accusata di aver fatto rinchiudere la figlia ammalata distoglie lo sguardo e dice che non può essere vero. Fu la scelta degli artisti e degli intellettuali svedesi difronte alle stragi di pulizia di quegli anni. Non vollero vedere forse per quel bisogno di ordine sistematico e sistemico che ancora distingue il mondo intellettuale svedese. La stessa Charlotte non esprime in patria i suoi sentimenti ritrovati con la musica ma nei concerti all’estero dove vive la sua vita. Eva così sicura dell’ordine del mondo resta tuttavia chiusa in una cupa disperazione: EVA: “Si sta facendo buio. Ho freddo. Devo preparare la cena. Ho paura di uccidermi. Spero che un giorno Dio abbia bisogno di me e mi liberi da questa prigione”. Ecco qui l’ombra del suicidio che domina la cultura svedese che invece rappresenta se stessa come cultura di un popolo felice, eppure spesso i contorni di questa ombra si fanno così netti da diventare spaventosi: attualmente si suicidano in Svezia 1000 persone all’anno e fenomeno è in costante crescita.

Bergman già affrontava l’argomento in Città portuale e Prigione. Perché questo accade questo in un paese che ha servizi sociali decenti e un’economia tra le più solide del mondo occidentale? Credo che Bergman percepisca una risposta in Luci d’Inverno (1963) e in Sussurri e grida (1972). Scrivo percepisca una risposta perché B. vedeva problemi e trovava risposte vivendo attraverso il non-detto.La sua riflessione nasceva da quella che potrei definire un’ esperienza quasi mistica. In Svezia è il tempo di Swedenborg, filosofo, mistico, teologo, medium e chiaroveggente svedese e dopo di lui di Strindberg, fondatore Teatro Intimo di Stoccolma, per non parlare della religione quacchera diffusa lungo tutta la costa occidentale della Svezia. In quest’area culturale l’esperienza, l’immaginazione, la percezione, l’intuizione erano attentamente coltivate. Erano tratti umani che non trovano grande spazio nella cultura corrente e accademica svedese, più incline al razionalismo positivista e alle statistiche, alla netta scissione bene e male e a vedere la diversità non regola, come malattia.

Il seducente pastore protestante di Luci d’Inverno interpretato da Gunnar Bjönstrand non può nemmeno pregare Dio perché allevi le sofferenze della sua donna le cui mani sono lacerate e piagate dall’orticaria, la malattia è per lui un orrore ripugnante che gli impedisce di pregare. Ponendo il Bene e il Male come assoluti la gamma dei sentimenti e delle emozioni si riduce, diventa binaria: un sì o un no, un benedice o crucifige. Non c’è spazio per la pietas, quel sentimento che si dà in dono anche a chi ci è nemico: la pietas non è la compassione che è aiuto caritatevole, la pietas è amore umano.

Bergman ci coinvolge in questo grande sentimento in Sussurri e grida: in una casa grande borghese, una donna giovane si contorce fra le atroci sofferenze di una malattia devastante. Le due sorelle non osano avvicinarsi, darle sollievo con una carezza, uno sguardo, una parola. Entra la governante, che ogni mattina trova un momento di pace pregando Dio che si prenda cura dell’anima della figlia morta bambina. Quando la governante entra le sorelle escono, l’ammalata mugola per i dolori. La Governante chiude la porta, si siede nel letto, si mette l’ammalata in grembo, si denuda il petto e le dà il seno: castità, silenzio, pace.

Bergman era credente? No, come dichiarò negli ultimi anni della sua vita. Ma non è questo che interessa. B. non aveva una mente strutturata su principi assoluti e il pensiero positivo gli era estraneo: aveva percezioni, sentimenti e emozioni con dinamiche stupefacenti e spesso impreviste. Vedeva gli esseri umani e le loro storie. Stando dietro la cinepresa riusciva a vedere quando l’attore entrava in contatto con sé stesso e allora dava finalmente il ciak.*

Bergman fu legalmente perseguitato per il suo modo di vedere e osteggiato per la sua arte. Venne arrestato il 30 gennaio 1976 da due poliziotti e indagato per reati economici mai commessi, come si dimostrò molti anni dopo. Andò in esilio in Germania, gli fu vietato l’uso degli studios svedesi e ebbe grandi difficoltà nel finanziare i suoi film.

Il celebre Sussurri e grida fu possibile solo perché gli attori accettarono di lavorare senza retribuzione.

TRE ATTRICI PER BERGMAN: Sussurri e grida, viene rappresentato Mercoledì 5 dicembre alle 21.00 al DAMSLab/Teatro, Piazzetta Pasolini 5b a Bologna, nell’ambito del progetto de La Soffitta 2018 BERGMAN 100.

Mise en espace da un’idea di Vanda Monaco Westerståhl | direzione Marco Sgrosso | in scena Gemma Hansson Carbone, Alessandra Frabetti, Vanda Monaco Westerståhl | drammaturgia e traduzioni Vanda Monaco Westerståhl INGRESSO GRATUITO CON RITIRO DI COUPON

Vanda Monaco Westerståhl, attrice, scrittrice, regista, boxeur i cui cambiamenti profondi nella vita e nell’arte rivelano una sostanza umana che assorbe le dinamiche del proprio tempo nel corpo, nelle emozioni e nei pensieri. Allieva di Giovanni Macchia, in anni più maturi il Dams bolognese è stato il luogo delle sue modificazioni che potrebbero, per il passato, riassumersi: da Dario Fo a Carmelo Bene; e per il presente da una poetica del sé a una dell’ascolto e dell’empatia. A Stoccolma ha fondato il gruppo multietnico Omkring Ringen (“Intorno al Ring”) e prepara un evento teatrale con Annachiara Senatore per Napoli e per Stoccolma. È sposata con il logico matematico Dag Westerståhl. www.vandamonaco.com. Un buio luminoso e Vedere Bergman di Leif Zern le hanno fatto scoprire aree della cultura europea che hanno ispirato questo saggio.

 www.vandamonaco.com

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