Käthe Kollwitz, l’arte della pietà

Käthe Kollwitz, l’arte della pietà

Käthe Kollwitz, l’arte della pietà

Quello della Repubblica di Weimar (1918-1933), fu per la Germania un periodo disastroso che infatti portò all’avvento del nazismo. Perduta la guerra, vigenti le gravose condizioni della pace di Versailles, debolissimi i governi, l’inflazione alle stelle, il paese era allo stremo. Mentre alcuni si arricchivano con il mercato nero, la maggioranza faceva la fame, soprattutto i reduci di guerra, molti dei quali invalidi, e le vedove con figli. Proteste e rivolte erano all’ordine del giorno, così come gli scontri fra gruppi di destra e di sinistra. In quel momento così duro fiorì un’arte altrettanto dura ma umanissima, che traeva ispirazione dalla pietas per i più deboli e i sommersi dalla storia. Parlo di Käthe Kollwitz (e di Ernst Barlach, quello dell’ineffabile, sublime Angelo Sospeso).

Autroritratto

Käthe Ida, nata Schmidt nel 1867 a Königsberg, la città di Kant ed anche dell’infanzia e dell’adolescenza di Hanna Arendt, fu un talento precoce. La famiglia era numerosa e completa di un vivace nonno materno, pastore luterano ribelle e socialista politicamente impegnato. Il padre, da giovane, aveva completato gli studi di legge e avrebbe avuto una brillante carriera davanti a sé. Invece si rese conto che i suoi ideali di sinistra non gli permettevano di mischiarsi ad un ambiente reazionario e… fece il muratore fino a diventare capocantiere. Che caratteri! Che ideali! Una famiglia così illuminata non faceva certo distinzioni fra i figli maschi e le femmine. Così Käthe prese lezioni di disegno e pittura e proseguì gli studi prima a Belino poi a Monaco.

Qui, diciassettenne, incontrò lo studente di medicina Karl Kollwitz con cui si sposò nel 1891. La coppia andò a vivere a Berlino e nel giro di qualche anno ebbe due figli, Hans e Peter. Karl lavorava come kassenartz, una sorta di medico di base, mandando avanti un dispensario sociale (non sostenuto dallo stato ma dalle organizzazioni sindacali) e dedicandosi soprattutto ai poveri, ai lavoratori sfruttati, a chi non poteva permettersi di pagare. Per Käthe queste frequentazioni del marito divennero fonte di ispirazione. Secondo quanto lei stessa affermò in seguito, mentre le classi medio-alte risultavano, dal punto di vista artistico, del tutto insignificanti, i proletari erano tosti di carattere, avevano fegato, coraggio nella vita, apparivano pieni di significato nella loro miseria, erano ‘belli’.

I sopravvissuti

Già da tempo Käthe aveva capito di non essere portata per la pittura, ma per il disegno, la scultura e le tecniche di incisione: litografia, xilografia e stampa. Aveva illustrato con tali mezzi, ispirandosi ad una pièce teatrale, la rivolta dei tessitori della Slesia contro l’introduzione delle macchine industriali nel 1844 e quella dei contadini soffocata nel sangue agli inizi del XVI secolo. Con la prima guerra mondiale e il periodo di Weimar quelle stesse immagini di sofferenza e di morte divennero terribilmente attuali. Käthe stessa fu duramente colpita con la perdita del figlio minore, Peter, partito volontario e morto in battaglia nelle Fiandre nell’ottobre del 1914. Dopo un lungo periodo di depressione, di idee scartate e bozzetti preparatori distrutti riuscì a produrre uno dei suoi capolavori “I genitori in lutto”, dedicato a Peter e ai soldati vittime della guerra. Degli stessi anni è il “Lenzuolo funebre per Karl Liebknecht”, un’incisione su legno in memoria del leader spartachista assassinato nel 1919.

Lenzuolo funebre per Karl Liebknecht

Siamo nel pieno della crisi e Käthe non solo la osserva e la vive, ne è parte ma riesce a proiettare i soggetti e le loro sofferenze in una dimensione esistenziale, astratta ed eterna. Il suo sguardo è quello di una donna, di una madre che raffigura altre donne e madri. Mater genetrix, non solo di amore e di vita ma anche di arte. Momenti di tenerezza con un bambino fra le braccia.

Volti e corpi pieni di angoscia e dolore rapiti dalla morte. Vedove mendicanti lungo la strada. Se stessa in una serie di autoritratti, l’espressione assorta e severa. Ma anche l’energia giovanile nel manifesto “Nie Wieder Krieg” (Mai più guerra), del 1924. Käthe è infatti tanto schiva e modesta nel privato quanto ferma e risoluta nell’impegno sociale e politico.

Il decennio dei ’20 scivola velocemente verso il nazismo. Certo, dopo la conquista del potere nel ’33 le finanze del paese migliorano grazie ai ricatti, alle confische e alla predazione nei confronti degli ebrei e non solo. Käthe, che ebrea non era, fu espulsa in quanto oppositrice politica dall’Akademie der Künste (l’Accademia di Belle Arti) di Berlino e ridotta al silenzio. Dagli Stati Uniti giunse un’offerta per mettersi in salvo che rifiutò in quanto temeva ritorsioni sui familiari. In quel periodo le fu di particolare sostegno il figlio primogenito Hans che aveva seguito le orme paterne diventando medico e che in seguito sarà il curatore delle sue opere.

Le madri – Tate Modern Art Gallery

La tragedia incombe ancora sulla famiglia: nel 1942 il figlio di Hans, Peter (stesso nome dello zio), muore in guerra sul fronte orientale. Due anni prima era mancato Karl e Käthe, dopo che l’appartamento di Berlino viene distrutto in un bombardamento, si trasferisce a Moritzburg in una casa messa a sua disposizione da Ernst Heinrich, principe di Sassonia. Ormai si dedica unicamente a piccole sculture fra cui una “Pietà” laica simbolo della sua vita e di quella di molte altre donne. Nel 1993 l’opera è stata riprodotta, ingrandita di quattro volte, e posta in un grande spazio del Neue Wache, il memoriale della Repubblica Federale Tedesca per le vittime delle guerre e delle dittature. Käthe morì nell’aprile 1945, a meno di un mese dalla resa della Germania e dalla caduta del nazismo. (M.P.)

Pietà – allestimento al Neue Wache

Riferimenti

Käthe Kollwitz: Prints and Drawings selected and introduced by di Carl Zigrosser, Dover editions, New York, 1969.
Käthe Kollwitz, Martin Fritsch (Hrsg.) E.A Seeman Verlag, Lipsia, 1999.
Ernst Barlach und Käthe Kollwitz im Zwiegespräch, Martin Fritsch (Hrsg.) E.A Seeman Verlag, Lipsia, 2006.
Käthe Kollwitz, Alexandra von dem Knesebeck, Wienand Verlag, Stoccarda, 2016.
Käthe Kollwitz Museum Berlin (Charlottenburg) <https://www.kaethe-kollwitz.de>

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