Colori pieni di dolori

Colori pieni di dolori

Colori pieni di dolori

Ad un primo sguardo le opere di Nalini Malani (1946) potrebbero apparire vivaci, di aspetto quasi ludico. Ti fanno sentire trasportato in un’altra dimensione, grazie a disegni, a quadri coloratissimi, ad ambienti immersivi, a video proiettati su enormi pareti. Però, come spesso accade, l’apparenza inganna.

Sita/Medea, 2006

Pioniera dell’arte contemporanea in India, Malani col suo lavoro artistico punta a mettere in mostra l’invisibile, a dare voce all’ineffabile. L’artista è fortemente influenzata dalla terra in cui è nata e dove a tutt’oggi continua a vivere. Un paese tormentato dallo spettro del colonialismo, dalle guerre, dalla disparità. Tutte queste sfaccettature della società indiana permeano il suo discorso artistico. Malani mette in atto una narrazione stratificata per raccontare le problematiche e le fragilità di un mondo sempre più liquefatto, mette in mostra l’identità storica di un paese, l’India, la sua forza e la sua fragilità, le sue contraddizioni interne, le tradizioni ben radicalizzate, ma anche il forte desiderio di superare le diversità. Le opere di Malani ci raccontano il desiderio di un popolo di lottare contro la precarietà con cui devono affrontare la vita. Non si rassegnano e non accettano, la libertà è una lotta continua.

L’artista, nata da madre sikh e padre teosofo, è ben consapevole di ciò che significa il conflitto, il tormento di un paese diviso, il movimento forzato di enormi masse di popolazione. La famiglia di Malani fu costretta a fuggire durante la Partizione e Nalini fu segnata in maniera indelebile da quel periodo. Verbalizza quel trauma, ma anche tutta la sofferenza, non solo sua, ma anche della sua India, attraverso il linguaggio dell’arte, creando così una connessione, sviluppando una coscienza, costruendo un ponte culturale.

Attraverso una molteplicità di mezzi artistici come il disegno, la pittura, le installazioni, il video e la rappresentazione teatrale, Nalini Malani esplora tematiche come la violenza nella storia in tutte le sue forme e in particolare quella sulle donne, condannando profondamente tutte le sue subdole tecniche di manifestazione. Ma nel messaggio dell’artista c’è spazio anche per il cambiamento urbano causato dalla globalizzazione. La sua arte piena di gioiosi colori e di creature mitologiche in realtà sottende una profonda riflessione, etica e politica, sulle conseguenze devastanti delle guerre, sulle condizioni delle donne nel suo paese (ma non solo) e sul fanatismo religioso.

Alcuni lavori dell’artista sono attualmente in mostra al Castello di Rivoli, “La rivolta dei morti. Retrospettiva 1969 – 2018” (fino al 17 gennaio 2019)

Remembering Mad Meg, 2007-2011

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