Le quattro casalinghe di Tokio: assassine con grazia (Yayoi-Masako-Yoshie-Kuniko)

Le quattro casalinghe di Tokio: assassine con grazia (Yayoi-Masako-Yoshie-Kuniko)

Il nostro invito alla lettura riguarda oggi un libro che, all’uscita in Giappone nel 1997, ha scalato vertiginosamente le classifiche di vendita, arrivando a vincere il prestigioso Mistery Writers of Japan Award, per poi giungere in Italia nel 2003, pubblicato da Neri Pozza.
S’intitola: Le quattro casalinghe di Tokio.
L’autrice, Natsuo Kirino (pseudonimo ambiguo, in quanto sia maschile che femminile), nasce come Mariko Hashioka (classe 1951) e arriva a scoprire la sua vocazione piuttosto tardi, oltre i trent’anni, dopo una laurea in architettura, una figlia ed un master di sceneggiatura. Il pieno successo lo raggiungerà addirittura dopo i quaranta, un’età in cui le donne, per la società giapponese, si trovano già in avanzato stato di deterioramento.

Le quattro signore del titolo non sono casalinghe a tempo pieno (il titolo originale è infatti “Out“), bensì colleghe di lavoro notturno in una fabbrica che produce puzzolenti colazioni pronte, alla periferia di Tokio. Il lavoro è duro, poco retribuito, socialmente malvisto e soprattutto non ammette repliche o sgarri, perché la lista dei dimenticati da dio pronti a prendere il posto dei ribelli è infinita. I candidati ideali per questa figura professionale sono coloro che vivono ai margini della società: immigrati (che non conoscono ancora bene la lingua) e casalinghe, la maggior parte delle quali con una vita affettiva complicata, fatta di mariti glaciali, figli nullafacenti a caccia di denaro facile e suocere malate da gestire; il tutto insieme alle faccende domestiche.

Il carico emotivo di queste donne è pesantissimo e le incombenze pratiche infinite. Il vaso tracima quando Yayoi (la più dolce e remissiva), al culmine di una discussione con il marito ubriaco, per via dei risparmi persi al gioco, si toglie la cinta, gli salta al collo e lo strangola.
Nessuna paura o soddisfazione per questo gesto, solo la chiara sensazione che andasse fatto, come se fosse assodato che ogni donna giapponese desideri fare a pezzi il marito. La necessità di liberarsi del corpo la spinge a coinvolgere le amiche-colleghe, le quali, senza giudizio e senza stupore, decidono di aiutarla dando vita ad una concatenazione di eventi dal ritmo vertiginoso, che fa venire voglia di tornare a casa unicamente per riprendere la lettura laddove, ahimè, si era stati costretti ad interromperla.
Il finale, davvero imprevedibile, rende conto dell’immensa complessità della psicologia umana (Masako, intelligente quarantenne, finita alla catena alimentare dopo un’eperienza di mobbing in un istituto bancario … ha fascino da vendere a questo proposito), e lascia a bocca aperta anche la lettrice e il lettore più esigenti, quelli che non si sorprendono mai di niente, quelli che vogliono essere trafitti senza pietà.

Quando sento definire questo libro un noir tout-court, pieno di cattiveria e perversione, non posso fare a meno di pensare che sia la definizione più superficiale che si possa dare e, di certo, assai lontana dal vero.
Se solo ci soffermiamo a pensare al valore della figura femminile in Giappone, ci rendiamo conto che l’opera di Kirino ha una valenza iconoclasta fortissima: il genere noir è solo lo strumento per riuscire a raccontare le donne, strappandole allo stereotipo rassicurante della ragazza fragile che tanto piace agli uomini del suo paese, senza scadere però nello stereotipo opposto dell’eroina romantica e speciale. Chi commette un crimine … si espone al non classificabile! e infatti parte della critica reagisce duramente all’affermarsi di figure femminili che escono dagli schemi: le scrittrici devono occuparsi solo di romanticismi e comunque non permettersi di narrare di una donna che uccide un uomo. Kirino verrà respinta in una trasmissione radiofonica proprio per questo motivo, il conduttore, scandalizzato, si rifiuterà di intervistarla.
Le prese di posizione dell’autrice emergono chiare da alcune sue dichiarazioni: “Uno dei punti di partenza dei miei romanzi è la consapevolezza che nascere e vivere da donna nella società giapponese è una cosa estremamente difficile, perché la donna in Giappone non è mai se stessa, ma sempre qualcosa d’altro, il riflesso di quello che vogliono, desiderano o sognano gli uomini. Benché siano educate a scuola a credere di potersi comportare da pari in piena libertà e avanzare nella società e nei posti di lavoro come gli uomini, le donne, appena si sposano, si rendono conto che tutto questo non è vero. E allora scattano meccanismi che possono portarle a commettere atti estremi, fuori dalle norme e consuetudini”.

Ci vuole grande coraggio per raccontare le donne come fa questa autrice nel suo paese: sono figure tristi, disilluse, violente, alla ricerca di un affetto che non va di pari passo con la libertà; affetto del quale esse tuttavia sono schiave perché necessitano di un significante, di un alito vitale che, sono nate pensando, può essere soffiato solo dall’uomo. Da sole perdono di senso.
Lungi da noi, quindi, liquidare questo bellissimo libro con l’etichetta di noir grondante di sangue, destinato agli amanti del grand guignol; ci troviamo di fronte ad un lavoro di sottile profondità psicologica e sociale, ad una drammatica denuncia dello stritolamento che le metropoli giapponesi mettono in atto sui loro abitanti e sulle donne in particolare, le eterne fuori gioco, imprigionate in un ingranaggio che non lascia scampo. (P.M)

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