La potenza materna e il suo negativo | Io sono Maria Callas, Vanna Vinci, Feltrinelli, 2018

La potenza materna e il suo negativo | Io sono Maria Callas, Vanna Vinci, Feltrinelli, 2018

La potenza materna e il suo negativo  | Io sono Maria Callas, Vanna Vinci, Feltrinelli, 2018

Tra le letture che quest’anno hanno ravvivato la pausa cinematografica estiva, voglio richiamare l’attenzione su questo bel graphic novel di Vanna Vinci, autrice molto nota e riconosciuta nel mondo del fumetto italiano e internazionale. Uno dei pregi di questa artista consiste nel mettere la grande suggestione dei suoi disegni al servizio di biografie di donne emblematiche che ben rappresentano la vicenda interiore femminile degli ultimi due secoli.

Questa volta è il turno di Maria Callas, unanimemente considerata la più grande cantante lirica del ‘900, la cui storia viene raccontata attraverso un impianto formale simile a quello della tragedia greca. Soluzione molto elegante, oltre che pertinente viste le origini del personaggio, anche grazie alla maestria del miscuglio di colori e bianco e nero.

Il nucleo dolente intorno al quale si avvinghia la vita di Maria Callas è senz’altro il rifiuto materno: una madre che aspettava un maschio in sostituzione di un figlio morto in precedenza, e che alla vista di “una brutta e grossa bambina scura” inorridisce. Una madre delusa dal matrimonio, che non le ha portato i soldi e l’affermazione mondana in cui sperava; e che, intuendo le eccezionali doti canore della figlia, dirige su di lei tutte le sue frustrate aspirazioni di successo: “bisogna essere stati bambini prodigio per capire le torture che i genitori sono capaci di infliggere ai figli”, dice Maria bambina. Una bambina che mangia in modo esorbitante, “brutta, grassa e con i brufoli”, secondo le parole della sorella che rincara la dose di astio materno. Una bambina detestata fisicamente e sfruttata sul piano del talento.

La svalorizzazione fisica originata dal rifiuto materno si costituisce come tratto definitivo della sua personalità e condizionerà pesantemente la sua vita e la sua carriera. Nonostante il grande apprezzamento e il sostegno delle sue maestre di canto, la paura di non essere accettata non se ne andrà mai. Il successo la ricompensa dai primi esordi, ma il rifiuto fisico la insegue ed è per lei insopportabile: nel mondo del teatro veniva chiamata la bombolona, e il Metropolitan di New York la rifiuta perché troppo grossa per la parte di Madame Butterfly. Il primo marito apprezzava le sue forme, ma lei continuava a sentirsi un mostro. Anche la Scala non la vuole perché “troppo brutta e grassa”. Scompare per un anno e mezzo…

Al ritorno Maria è dimagrita 30 chili: interpreta Medea sul palcoscenico della Scala, con la sua voce portentosa e la sua nuova meravigliosa silhouette. È il trionfo che segna la nascita del suo mito.

In realtà il dimagrimento della Callas è stato ottenuto ad un prezzo esorbitante per il suo organismo e per la sua psiche: alcuni medici svizzeri le hanno indotto un forte ipertiroidismo con iniezioni ormonali alla tiroide definite “una vera bomba”. E’ stata avvertita delle conseguenze a lungo termine, ma non se n’è curata: dimagrire in breve tempo, rientrare nel canone estetico femminile stabilito dall’epoca, era per lei una questione di vita o di morte. Significativo, per noi che viviamo nell’era dell’ossessione del peso corporeo! Una recente ricerca ha dimostrato che 4 donne italiane su 5 non sono contente del loro aspetto fisico.

Mi ha sempre colpito nelle donne (parlo anche per esperienza personale) il legame tra rifiuto materno e disprezzo del proprio corpo. E, per molte, disponibilità a manipolarlo in maniera pericolosa. Anche negli anni del suo mitico successo, e per tutta la vita, la Callas continuerà a patire una frattura insanabile fra la se stessa del palcoscenico, la Callas appunto, e la sua vita privata, la vita di Maria. La prima capace di gesti coraggiosissimi, l’altra fragile di fronte alle critiche e mai sicura della sua bellezza. In un modo che ricorda molto un altro mito femminile a lei contemporaneo, la grande Marilyn Monroe, che parlava di una “lei”, Marilyn, come di un’altra se stessa che l’aggrediva dall’esterno e si impadroniva di lei facendola svanire. Certo la pressione culturale sull’immagine fisica è poderosa per le donne, in una cultura patriarcale che ha sempre cercato di renderle appetibili al capriccio maschile. Ma è la ferita del rifiuto materno, se non curata e rimarginata, che ci fa capitolare ad essa e abdicare al rispetto del nostro corpo.

Così Callas perderà precocemente la voce, usata troppo e in un repertorio troppo vasto. Non resisterà all’abbandono di Onassis, una relazione in cui aveva scoperto la passione erotica e aveva illusoriamente creduto di guarire la sua ansia di accettazione profonda da parte dell’altro. Non troverà gioia nell’insegnamento, incapace di ispirare l’interesse e l’affetto degli allievi. Leggendo il libro di Vanna Vinci mi sono ricordata di aver visto Maria Callas da ragazzina in un documentario, credo a metà degli anni ’70: mi era rimasto impresso il modo in cui si lamentava dei suoi allievi, accusandoli di non sapersi sacrificare allo studio come avevano fatto lei e quelli della sua generazione. Ora capisco che non aveva altro a cui aggrapparsi tranne la mistica del sacrificio, che aveva martoriato la sua infanzia ma probabilmente le aveva consentito di tenersi in piedi e strutturarsi.

I suoi ultimi anni di isolamento nell’appartamento parigino, assistita dai domestici e abbandonata al sonno indotto dai farmaci, ispirano molta pena. E la morte solitaria, ora si pensa causata da una malattia, magari legata, chissà, ai terribili trattamenti ormonali a cui anni prima si era sottoposta…

Grande rilievo nel libro di Vanna Vinci ha il personaggio di Medea, nei cui panni la Callas sapeva sprofondare in modo impressionante. Anche Pier Paolo Pasolini la volle come interprete nel suo film omonimo. Colpisce il contrasto tra il testo di Euripide, così lontano da noi nel tempo ma capace di far scaturire dalla voce della sua protagonista parole di acuta consapevolezza sulla tragica situazione femminile nel patriarcato; e la concezione di Pasolini, che nel rapporto tra Medea e Giasone vede solo “il conflitto tra un mondo religioso ed arcaico e un mondo razionale, moderno, laico”. Eppure Pasolini aveva avuto il tempo di assistere alla nascita del femminismo…

Di Maria Callas, al di là del dolore e delle ferite, restano il mistero e la forza di avere innalzato una voce che, anche per chi come me non ama la lirica, già al primo ascolto aiuta a mettersi in contatto con qualcosa che non saprei chiamare in altro modo: l’esistenza della perfezione.

Grazie a Vanna Vinci per questo lavoro veramente interessante e magnifico.

(Cinzia Soldano)

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