Il nomade mondo delle due Ameliè

Il nomade mondo delle due Ameliè

Il nomade mondo delle due Ameliè

Stasi nell’oscurità
Poi gli azzurri insostanziali
Versano cime e distanze.
Da Ariel di S. Plath

La prima Amelia Rosselli nacque all’inizio del Novecento e fu una rinomata autrice di drammi e di commedie, in italiano e in dialetto veneziano, giornalista, scrittrice di racconti e di libri per l’infanzia, direttrice di una collana, attivista politica e sostenitrice della questione femminile.

Amelia veniva da una famiglia ebraica della buona borghesia veneziana che aveva partecipato ai moti risorgimentali e alla difesa della Serenissima durante la Repubblica di Manin, tanto che alcuni dei suoi esponenti furono costretti all’esilio a Parigi. La resistenza ha sempre appartenuto alla sua famiglia. I genitori del marito – Sabatino Rosselli e Harriet Nathan – erano di tradizione repubblicana e liberale e avevano sostenuto Mazzini durante gli anni dell’esilio londinese. Mazzini infatti morì a Pisa, a casa Rosselli, sotto lo pseudonimo di Mr. Brown. Dal matrimonio Amelia ebbe tre figli: Aldo (1895-1916), Carlo (1899-1937) e Nello (1900-1937). Carlo, era professore di economia e lasciò l’insegnamento per la lotta politica. Inviato al confino nell’isola di Lipari, riuscì a fuggire, riparando a Parigi, dove fondò il movimento “Giustizia e Libertà”.

La seconda Amelia Rosselli, nacque infatti a Parigi nel 1930, nipote di nonna Amelia e figlia di Carlo, antifascista e teorico del Socialismo Liberale che sposò Marion Cave, inglese attivista del partito laburista britannico. Carlo fu assassinato con il fratello Nello a Bagnoles-de-l’Orne in Francia nel 1937, per mano dei Cagoulard, sicari francesi assoldati da Mussolini e Ciano. Dopo questa esperienza dolorosissima Amelia iniziò a peregrinare con la madre tra Inghilterra, Francia e Italia, una sorta di nomadismo apolide che è poi stato alla base di tutta la sua ricerca ed espressione poetica. Amelia aveva diciannove anni quando anche Marion morì, paralizzata dopo numerosi ictus. Ancor prima del suo decesso, Amelia aveva iniziato a manifestare dei problemi psichici. La morte e l’esilio, come la musica e la malattia, saranno temi fondamentali per comprenderla a pieno: perché l’esilio non è mai uno stare Altrove e basta, in uno spazio esterno a noi, no.

L’esule, quando l’espatrio non è voluto o cercato, sempre sente, e si sente, cacciato e al tempo stesso occupato nel proprio intimo, ha in sé uno spazio che viene vissuto come invaso e al tempo stesso perduto, un vuoto riempito da “altro da sé”. Apolide è colui che è senza patria. Amelia rifiutava quest’appellativo, come anche quello di cosmopolita. Diceva: «Non sono “apolide”» […]: siamo figli della seconda guerra mondiale. […] Noi non eravamo dei cosmopoliti; eravamo dei rifugiati». Amelia, è un nome caratterizzato dalla “a” privativa: A-melia, a ( senza) – melos (del gr. μέλος «membro, arto»). Melos o melià in greco, nel significare membro, indica non solo un arto del corpo, ma anche un brano lirico (melodramma, melodìa). Mi sembra incredibile come il nome di Amelia Rosselli, la cui poesia sarà indissolubilmente legata al ritmo, al suono e allo spazio metrico possa significare “senza melodia”. Nell’antica Grecia melòs era il nome della musica stessa. Melòs indicava anche parti della tragedia e della commedia. La commedia era composta da quattro parti: la párodos, la parabasi, le ariette con funzione di intermezzo, e l’esodo. Esuli (dal lat. exsul -ŭlis, messo dai Latini in relazione con solum «suolo», fuori dal suolo) sono coloro che compiono un “cammino”, una “via” fuori dalla propria Terra, dalla propria patria. Come ha fatto Amelia. L’esiliato per Maria Zambrano è colui che “abbandona la «terraferma»”. L’abbandono della patria lo spinge in mare aperto, lo squassa con venti avversi, lo porta con brezze diagonali alla deriva: cosicché si crea da sé le proprie secche, le sue stesse isole, gli spazi e tempi dove abitare. Questo fa Amelia, l’Esule: crea uno spazio melodico tutto nuovo e tutto suo.

La sua forma poetica sarà “sempre connessa a quella più strettamente musicale, […] considerando la sillaba non solo come nesso ortografico ma anche come suono, e il periodo non solo un costrutto grammaticale ma anche un sistema” ( Spazi Metrici, 1962).

Un innovativo balbettare sonoro, che fa emergere un “no se que” direbbe Zambrano, nel flusso del discorso poetico e che resta lì – fluttuando – alterando l’apparente continuità della superficie su cui galleggiano le parole. L’esiliato balbetta, i folli balbettano, i poeti balbettano: come il bambino che, innocente, nasce singhiozzando. Un balbettìo che crea discontinuità, interruzione, frammentazione, sbandamento come discontinuo interrotto frammentato e sbandante è ognuno di noi. Basta ascoltare una sola volta Impromptu dalla sua stessa dissonante, ritmica e frammentata voce, che cambia velocità, scende per ripidi scoscesi o torna mare calmo, pur mantenendo lo stesso tono. È Incredibile! (https://www.youtube.com/watch?v=xJdE6OxWZr4). Come leggere Libellula…

Dissipa tu se tu vuoi questa debole
vita che non si lagna. Che ci resta. Dissipa
tu il pudore della mia verginità; dissipa tu
la resa del corpo al nemico. Dissipa tu la mia effige,
dissipa il remo che batte sul ramo in disparte.
Dissipa tu se tu vuoi questa dissipata vita dissipa
tu le mie cangianti ragioni, dissipa il numero
troppo elevato di richieste che m’agonizzano:
dissipa l’orrore, sposta l’orrore al bene. Dissipa
tu se tu vuoi questa debole vita che si lagna,
ma io non ti trovo, o non oso dissiparmi. Dissipa
tu, se tu puoi, se tu sai, se ne hai il tempo
e la voglia, se è il caso, se è possibile, se
non debolmente ti lagni, questa mia vita che
non si lagna.

Fu Pasolini a scoprire la poesia di Amelia Rosselli. Nel 1963, pubblicò nella rivista letteraria «Il Menabò» ventiquattro sue poesie e definì la sua scrittura poetica una scrittura di lapsus, versi a suo avviso fatti di distrazione, di una grammatica di errori nell’uso delle consonanti e delle vocali. Un vero miracolo per me quando la leggo. Una lingua plurima. Basta ascoltare la lettura di Libellula che ne fa Sonia Bergamasco nel video che potete vedere al termine dell’articolo. Edoardo Sanguineti la definì Avanguardista. Ma lei di sé diceva di essere una Realista che cercava di raccontare la sua partecipazione diretta con l’ambiente: mentre viveva, cercava di trascrivere le sue impressioni sulla realtà, cosa ci faceva dentro insomma: “ v’è il poeta della scoperta, quello del rinnovamento, quello dell’innovamento… [io sono un poeta] della ricerca. E quando non c’è qualcosa di assolutamente nuovo da dire, il poeta della ricerca non scrive”.

La sua poesia, infatti, cerca di far fronte alle provocazioni del “Caso, dell’Indeterminato, del Probabile, dell’Ambiguo, del Plurivalente”, in altre parole “si trova a fare i conti con il Disordine”, un disordine che le appartiene anche internamente, esattamente come la realtà esterna. Parole le sue “che aderiscono alla forma stessa della sostanza psichica”. La sua poesia non cerca di mettere Ordine al Disordine, ma di raccontarlo così come lo si percepisce. È rottura dell’ordine tradizionale, è racconto di una realtà nel suo costante divenire. Lei stessa, in Spazi metrici, spiega l’uso della forma nei suoi versi: nella musica e nel vocalizzare, ci sono soltanto i ritmi (durate o tempi) ed i colori (timbri o forme), nello scrivere e nel leggere invece noi contemporaneamente pensiamo. La parola non solo ha suono (rumore). A volte anzi non lo ha affatto, è silenzio, o dissuona, o risuona soltanto come idea nella mente. Rosselli, con la sua grammatica densa di nuove possibilità metriche, inventa una forma poetica senza codici e con nuove regole tutte sue. Per essere ben compresa va letta a voce alta: ascoltandosi, ascoltandola, ascoltando il suo fraseggiare impromptu: “la lingua in cui scrivo è certamente quella di molti popoli, e riflettibile in molte lingue.”

La lingua plurima di una rifugiata, che ha origine da quello che Nadia Fusini chiama il suo “sradicamento”. Un’aliena alla ricerca di una linguaggio tutto suo. Amelia Rosselli studia composizione musicale, violino, pianoforte, etnomusicologia per circa 14 anni a Londra, Darmstadt, Parigi e Roma; e trova finalmente nell’acustica la via d’accesso al Senso. Il ritmo fonico, il fluire del suono delle sue parole lette, anziché scorrere sulle pagine riesce a portarci fuori dal foglio, dalla carta, in un Luogo altro in cui vigono altre regole: un’altra dimensione – mentale – separata e parallela. Riesce a staccarci da noi stessi e dalle nostre stesse voci: da chi siamo e, ancora più liberi, ci getta-nel-mondo privi delle abituali coordinate che inconsapevolmente ci guidano in qualsiasi lettura. E’ un giungere Altrove, vestiti di niente, in un Luogo in cui la Parola è una parola che annulla le mediazioni, cancella le mappe interiori ed eccede il senso stesso che diamo alle parole restituendocelo nella sua nudità. Amelia porta a un continuo superarci e al tempo stesso è ritorno a noi stessi. A quelle parole dell’origine, di cui parla Maria Zambrano. Il ritorno a un senso che è verità. Una parola che – direbbe Lacan – uccide la cosa, ma anche una parola che al tempo stesso chiama la cosa. Mentre la leggi capisci che stai bypassando lo spazio col pensiero e ti accorgi, che in quell’ atto del leggere – senza sapere come – impari.

O forse ricordi, non so. Affiora una reminescenza che solo lei riesce a risvegliare, non con una parola, ma con ognuna e tutte, coi suoi accostamenti azzardati e impavidi. La poesia di Rosselli è teatro del suono, in cui non sei mai spettatore, non assisti, ma partecipi, alla sua vita vissuta, quasi confessional, ai moti del suo animo, a volte sussultori, ondulatori o basculatori, ma sempre magnetici e terrestri, alla componente visionaria originata dal suo disagio psichico , “allo sradicamento”, alla guerra, alla morte, a tutte le sue perdite e a ogni suo dolore.

Il cammino poetico della Rosselli corre parallelo alla sua malattia. Era destinato a essere solitario, fatto di tempi propri e soprattutto di lunghi silenzi. Silenzi pubblici in cui era abitata da una malattia contro la quale combatteva come poteva. Nella sua vita le malattie organiche e quelle psichiche si sono date appuntamento per torturarla nella mente e nel corpo. Come lei stessa racconta in “Storia di una malattia” certi attacchi partirono come un mistero. Quella che si rivelò «l’origine del male» si scoprì nel 1971: lei le chiama le «noie» , che duravano già dal 1969, si fecero più acute nel 1974 e peggiorando ulteriormente nel 1976-77. Non accettò mai la diagnosi di schizofrenia paranoide che le venne fornita da cliniche svizzere e inglesi, ma parlò per lo più di lesioni al sistema extrapiramidale, connesse alla malattia di Parkinson, che le si manifestarono già a 39 anni. Era convinta di essere spiata dalla Cia. “Agli inizi si trattava di poca roba: qualche cappuccino servitomi drogato ai bar di Trastevere, ma ripetutamente. Girava voce che qualche cameriere era informatore, e si vede che il caffé drogato oltre a farti battere i denti al ritorno a casa, serviva per fare «parlare», chiacchierare o esplodere. Dai tabaccai metà delle sigarette erano drogate”.

Eppure, la Rosselli riusciva a far fronte a questi attacchi. La sua voce quasi muta trovava il suono nei versi: una voce buia, rauca, piena di rumori, echi e stridii. Un’altra storia ma come quella di molti altri. Dino Campana, Alda Merini, e la sua Silvia Plath … verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Della malattia psichica di Amelia bisogna parlare, bisogna dire anche queste cose, senza aver paura dell’argomento. Tutta la sua vita è stata segnata dalla malattia, ma lei è riuscita a tradurla, in modo creativo, non stereotipato. Sì, era paranoica forse, ma anche profetica e illuminante. La sua voce ci arriva come grido a volte, un monito altre, ma riesce pure a mormorare, a esortare e quando la incontri – la sua voce – inevitabile e penetrante ti indica un cammino che se lo imbocchi, non riesci a lasciare, irreversibile, via fino in fondo all’ultimo verso. E a te stessa. Per il resto della tua vita.

Amelia Rosselli ci ha lasciato l’11 febbraio (stesso giorno e mese del suicidio di Silvia Plath) del 1996. «Ho distinto tra la vostra morte e la mia; / la mia non ha spazio». L’ultimo dei suoi voli. L’ultimo dei suoi segreti. «ombrando il segreto in / corpo feci di me il suo oggetto». Il suo salto s’è concluso in una chiostrina interna di via del Corallo: si è gettata dal quinto piano, nel cuore della Roma più bella, a pochi passi da piazza Navona. In Variazioni belliche aveva scritto “Che il tempo miserabile consumi me e tutte le mie tristezze, che la tristezza sia il pianoforte delle giornate, che la noia cada nel vuoto tutto questo non è che un grattacielo.” A richiamare forse o sicuramente Dino Campana, altro “inventore di mondi” e buco nero della poesia; poesia che a scuola abbiamo studiato senza mai sentir nominare i loro nomi. “Il tempo miserabile consumi/ Me, la mia gioia e tutta la speranza/ Venga la morte pallida e mi dica/ Pártiti figlio.”

Lei è Poeta tra quelli in cui creatività e vita psichica sono inseparabili; tra quelli in cui malattia e genio s’intersecano; tra quelli in cui genio è ossimoro di follia creativa.

«Scrivere è chiedersi come è fatto il mondo: quando sai com’è fatto forse non hai più bisogno di scrivere. Per questo tanti poeti muoiono giovani o suicidi». Amelia Rosselli. Che sapeva tradurre Silvia Plath come nessuno.

FONTI:
1. Iolanda Insana e Amelia Rosselli: https://www.youtube.com/watch?v=jKx-aMjqowI&t=94s
2. Amelia Rosselli – Le poesie- Garzanti 2016
3. “C’è come un dolore nella stanza”” Ossigeno nelle mie tende, sei tu…” Amelia Rosselli interpretata dalla voce di Sergio Carlacchiani https://www.youtube.com/watch?v=4n4Xv05EQ88
4. Amelia Rosselli dice Amelia Rosselli:
https://www.youtube.com/watch?v=vSwjx-s8DQ8&t=15s
https://www.youtube.com/watch?v=xJdE6OxWZr4
5. Archivio – la repubblica.it: Una poesia tutta per loro di Nadia Fusini
6. Amelia Rosselli tra i poeti “inventori di mondi”. L’ultimo apostolo del secolo breve di Martina Peloso
7. Amelia Rosselli. Lo spazio sonoro della mente – Audiollibro- Letture di Sonia Bergamasco di Paolo Gervasio- Archivio-Repubblica.it
8. «Reinventavo / sillabe astruse»: Roberta Caiffa – Amelia Rosselli, la poesia al cubo- (Poesia Contemporanea e Nuove Scritture, istituito presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento)
9. http://fascinointellettuali.larionews.com/amelia-rosselli-e-la-vita-persa-2/
10. E. CARLETTI, Il chiarore che deforma – Processi deformanti nella poetica di Amelia Rosselli

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