Adrienne, Sylvia e…le donne che non leggono

Adrienne, Sylvia e…le donne che non leggono

Adrienne, Sylvia e…le donne che non leggono

Nel maggio del 1938, la proprietaria di La Maison des Amis des Livres al 7 di rue de l’Odéon trasmise su Radio-Paris una “Lettera agli ascoltatori”. Adrienne Monnier cominciò la sua lettera parlata con un’ipotetica obiezione del pubblico maschile in ascolto: “‘les Ami-es des Livres’ … non esistono, certo. Le donne sono incapaci di amare i libri; lungi dall’esserne amiche, sono le loro nemiche naturali”.

Adrienne Monnier davanti alla sua libreria

Più di vent’anni prima, Monnier aveva aperto la prima libreria che dava libri in prestito di Francia. Nella sala principale del suo negozietto dagli arredi scarni, i potenziali lettori erano incoraggiati ad ampliare le loro letture e a sperimentare con i loro gusti letterari. Come Sylvia Beach, che possedeva la libreria in lingua inglese dall’altra parte della strada [Shakespeare and Company], al civico 12, l’impresa di Adrienne Monnier dipendeva in larga parte dal suo amore personale per i libri e l’avventura della lettura. Se entrambe le donne trasmisero con successo agli altri il loro entusiasmo per i libri, Monnier si dedicò a cambiare le abitudini di lettura dei francesi e a sovvertire la radicata convinzione che le donne fossero sorde alle richieste dei libri.

Ma il successo di Les Amis des Livres e Shakespeare and Company era dovuto soprattutto al rifiuto di queste due bibliotecarie di acquistare un solo libro che non avessero letto e amato. Pertanto, le due librerie rappresentavano le abitudini di lettura delle rispettive patronnes, donne che non si limitavano a prestare o vendere libri, ma che leggevano e amavano ogni volume che sceglievano. Erano negozi dedicati a quanti non potevano permettersi una biblioteca personale, persone per cui l’acquisto di un libro era una spesa considerevole.

L’idea di Monnier era stabilire un posto, un paese, in cui i francesi fossero invogliati a esplorare il loro amore per la parola scritta, a scoprire i piaceri della lettura. Fondando la sua libreria, Monnier creò questo mondo; più avanti aiutò Sylvia Beach in un’impresa analoga. Quando le due librerie si trovarono una di fronte all’altra sulla strada per il Teatro nazionale, si collocarono alle porte di un paese che Monnier chiamò “Odéonia”.

Grazie a La Maison des Amis des Livres e più tardi alla Shakespeare and Company, la strada diventò una delle più famose di Parigi.

Sylvia Beach davanti alla sua libreria

Dietro le larghe vetrine che esponevano le ultime opere di scrittori francesi e americani, le due donne erano pronte ad accogliere chiunque si fermasse sulla soglia. Negli anni successivi, entrambe organizzarono nei rispettivi negozi letture di prosa e poesia, occasioni in cui scrittori più o meno noti presentavano la loro opera al pubblico parigino. In quei momenti il negozio si trasformava in un piccolo salotto – la gente vi si accalcava per ascoltare le letture di Joyce o Eliot, di Gide o Larbaud; venivano serviti aperitivi con piccoli spuntini, e gli ambienti angusti si riempivano di risate e conversazioni. Eccelsa come cuoca e padrona di casa, Adrienne spesso intratteneva gruppi di scrittori nel suo appartamento al 18 di rue de l’Odéon, che condivise con Sylvia per quasi diciassette anni. Queste donne, infatti, non facevano distinzione tra vita professionale e personale; i loro interessi pubblici e privati si integravano al punto che anche per loro era difficile cogliere qualche differenza tra il loro legame professionale e il loro rapporto personale e intimo.

Poiché vivevano insieme e lavoravano a stretto contatto, spesso si è dato per scontato che le loro imprese fossero quasi indistinguibili. Eppure, da un esame più attento dei loro interessi, delle loro circostanze personali, delle loro vite lavorative quotidiane, emerge che Adrienne Monnier e Sylvia Beach guardavano ai rispettivi impegni professionali in modi molto diversi.

Ognuna di loro voleva una vita indipendente, al di fuori del matrimonio. Per Sylvia Beach questa vita era raggiungibile solo prendendo le distanze dalla famiglia, allontanandosi il più possibile dalla madre, una donna che scaricava sulle figlie vari bisogni emotivi, e separandosi dalla realtà professionale del padre. Monnier, invece, preferì restare a Parigi – la sua città natale – per mantenere un’esistenza vicina ai genitori ma separata.

(…)

Se i termini in cui Adrienne e Sylvia descrivevano le loro imprese letterarie differivano, lo stesso valeva per i modi in cui consideravano il loro servizio professionale alla letteratura. Adrienne Monnier venerava i libri ed era al servizio della parola, più che dell’autore. Sylvia Beach definiva il suo ruolo in altri termini: si interessava agli scrittori così come ai lettori, e promuoveva la parola supportando e assistendo entrambi.

In realtà Monnier si considerava una persona che aveva preso gli ordini religiosi; si descriveva come una religieuse ancienne (una suora d’altri tempi). In effetti, per abbigliamento e contegno, sembrava una via di mezzo tra una monaca e una contadina. Nella sua divisa di lavoro – camicetta bianca, gilet, e una lunga gonna grigia sopra la quale all’aperto indossava una mantella lunga fino ai piedi – somigliava a una badessa; il suo fisico corpulento, l’appetito sconfinato e la risata esuberante avrebbero potuto appartenere a una contadina di provincia.

Se Adrienne era la badessa dell’avanguardia, Sylvia era la santa patrona dello sperimentalismo letterario. In contrasto con la pacata determinazione della prima, Beach trasudava energia e zelo missionario.

Combinava la serietà a un’“intelligenza arguta” e a un senso dell’umorismo che faceva ridere in continuazione lei e gli altri. Per aspetto e contegno, le due donne erano estremamente diverse. Adrienne era una figura pragmatica, rebelaisiana. Sylvia era ascetica, combinava le fattezze di un androgino preraffaelita con un atteggiamento tipicamente americano. Se Adrienne appariva materna, Sylvia aveva un’aria puerile – anche in tarda età. Mentre Adrienne indulgeva al suo appetito da buongustaia e di tanto in tanto si godeva una serata al Folies Bergère, Sylvia frenava il proprio impulso al piacere, non nutrendo alcun interesse per il “divertimento”, i vestiti nuovi e tutti gli agi comuni della vita.

I contrasti fra Monnier e Beach erano importanti quanto l’analogo amore per la letteratura e le imprese intellettuali che le univano sul piano personale e professionale. Nei molti anni che trascorsero insieme si adattarono l’una all’altra. Sylvia traeva forza dal pacato sostegno di Adrienne, che negli entusiasmi di Sylvia trovò l’avventura.

Siccome né Adrienne né Sylvia scrissero della loro relazione, gli aspetti intimi della loro amicizia restano celati dietro la discrezione innata in entrambe. Le lettere che scrissero nelle rare separazioni durante gli anni rivelano la profondità della loro dedizione reciproca, e quelle di Adrienne in particolare si rivolgono all’adorata Sylvia con nomignoli affettuosi, la esortano a curarsi della sua salute e manifestano il desiderio di stringerla e baciarla. La cautela di Sylvia, maturata negli anni di vita in canonica, si rifletteva in una discrezione che mascherava la sua repressione sessuale.

Questo rapporto si fondava su un forte impegno intellettuale e professionale, unendo due vite messe coscienziosamente al servizio degli altri, e forse per questo Adrienne e Sylvia non furono costrette a scegliere tra i due modelli dominanti della sessualità lesbica contemporanea. La loro amicizia non era improntata sulle unioni eterosessuali, né inscenava una parodia del maschile o un “abbandono attico”.

Entrambe le partner erano convinte femministe (il femminismo socialista di Sylvia derivava dal movimento suffragista inglese, un credo politico non necessariamente condiviso da Adrienne), donne che si erano dedicate a vite indipendenti e reciprocamente appaganti, e potrebbe essere per questo che la loro lunga amicizia dimostrò un egualitarismo insolito nei rapporti omosessuali ed eterosessuali dell’epoca.

Tratto da Shari Benstock, Donne della Rive Gauche, Somara!Edizioni, 2018 – traduzione di Manuela Faimali

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