Elsa Schiaparelli: “Un abito non è solo stoffa: un abito è un pensiero”

Elsa Schiaparelli: “Un abito non è solo stoffa: un abito è un pensiero”

Elsa Schiaparelli: “Un abito non è solo stoffa: un abito è un pensiero”

Il rosa shocking non mi è mai piaciuto. Finché non ho letto di Schiap, come si faceva chiamare lei, Elsa Luisa Maria Schiaparelli. Schiap è considerata da parte dei designer di tutto il mondo, al pari di Coco Chanel, una rivoluzionaria. Anche se Chanel, dal taglio rigoroso, semplice e di un’austerità quasi monacale, detestava il suo stile e con spregio l’apostrofava ‘l’artista che fa vestiti’. Anche Elsa Schiaparelli è una delle meravigliose Donne della Rive Gauche.

Senza di lei son certa che la mia adolescenza sarebbe stata rovinata, visto che fu determinante nello sviluppare il maglione, fino ad allora considerato un indumento usato in ambito lavorativo. Era una pazza, nel senso bello del termine, quella pazzia che ogni genio deve avere. “Avevo un pensiero fisso in testa: salvarmi dalla monotonia della vita di salotto e dall’ipocrisia borghese. Per le mie idee d’avanguardia venivo considerata una folle”. Anche adesso, benché non vogliano ammetterlo, molti la copiano. Schiap aveva il coraggio dell’ostentata opulenza (cioè drappeggi, esibizionismo esagerato), usava fini tecniche artigianali, sperimentava con tessuti, stampe e ricami accattivanti (aragoste, creature marine, oggetti di uso quotidiano) e usava immagini che rendono Instagram sorpassato, o almeno, già visto.

Era il 1922. Elsa sta passeggiando a Parigi con un’amica quando vanno alla casa di moda di Paul Poiret, in rue du Faubourg Saint-Honoré, sulla Rive Droite, vicino a dove abita Edith Wharton. Poiret e sua sorella Nicole Groult (nome d’arte di Marie Nicole Poiret ) erano entrambi stilisti e possedevano un atelier ciascuno. Nicole fu una formidabile promotrice dello stile “garçonne”, fatto di abiti eleganti ma funzionali, con una venatura androgina, che esprimevano il concetto di emancipazione femminile e aspirazione all’uguaglianza tra i sessi. E Schiap trovò un impiego presso di lei. Elsa aveva studiato letteratura e filosofia. Aveva anche pubblicato delle poesie. Fantasia e creatività non le mancavano e si mise a disegnare in proprio, in un piccolo appartamento di rue de Seine, a pochi passi dal n.20 di Rue Jacob, dove Natalie Barney nel 1909 si era trasferita e conduceva il suo sfrenato salotto anticonformista.

A Parigi Schiap iniziò a frequentare una cerchia di donne impegnate e creative: la scrittrice Anaïs Nin, la fotografa Lee Miller, l’ereditiera e attivista politica Nancy Cunard e giornaliste come Janet Flanner, che sul New Yorker dettaglierà estasiata la vita di Schiaparelli in un articolo di 2.490 parole usando, per descriverla, il vocabolo “Cometa”. Elsa conoscerà importanti artisti surrealisti come Salvador Dalí, amico di Gertrude Stein, e i grandi signori dell’avanguardia francese e americana, Marcel Duchamp e Man Ray e più tardi Jean Cocteau, George Braque, Christian Bérard, Dado Ruspoli, Alberto Giacometti e Meret Oppenheim. Sarà lì, sulla Rive Gauche, mescolandosi ad altri artisti, che imparerà a reinventare i vestiti. Salvator Dalì dirà di lei: ”La Parigi degli anni Trenta non è stata segnata dai dibattiti surrealisti nel café de la Place Blanche, o dal suicidio del mio grande amico René Crevel, ma dall’attesa di tutta la città per le nuove creazioni di madame Schiaparelli”.

Nel 1927 viene presentata la sua prima collezione e nel 1928 Elsa apre, in rue de la Paix, la Maison Schiaparelli – Pour le sport, per poi trasferirsi l’anno seguente a Place Vendôme dove si dedicherà agli abiti prêt-à-porter, fatto innovativo nella Parigi dell’alta moda. “L’anno scorso i suoi quattrocento dipendenti hanno prodotto dai suoi otto atelier tra i sette e gli ottomila capi di abbigliamento” scrive Janet Flanner di lei

Tutto questo in cinque anni, da zero.

Nel 1935 Schiap crea il primo accessorio disegnato da Dalí: un portacipria a forma di quadrante telefonico, laccato nero o color tartaruga, in cui si poteva scrivere il proprio nome; ed ecco che trasforma un oggetto meccanico in un’opera d’arte. Nella primavera del 1937, Elsa chiese a Dalì di disegnare un’aragosta per un modello di abito da sera in organza bianco. Dalì le disegnò un’enorme aragosta rosso sangue che lei cucì sulla parte anteriore di un abito, proprio tra le cosce. È una sfida, questa visione apertamente sessuale del vestito bianco, tradizionalmente legato al tema del matrimonio e alla presunta verginità della sposa, una sfida, dicevano, al buon gusto dell’epoca. No, era molto di più. Era una sfida al ruolo tradizionale della donna nella società.

Elsa con Dalì creerà tailleur neri con tasche rifinite da bocche femminili, borse a forma di telefono in velluto nero con dischi ricamati in oro, abiti da gran sera di organza con dipinte enormi aragoste, con chiari richiami erotici, cappelli a forma di scarpa, e copricapo a visiera per la sera realizzate in sete preziose, ‘selon l’esprit surréaliste‘.

Era surrealista a tutti gli effetti. “Non bisogna assolutamente adattare il vestito al corpo -soleva ripetere – ma fare in modo che il corpo si adatti all’abito“. Vestiti come pagine bianche da riempire.

Se Coco Chanel rappresentava, intorno agli anni ’30, il rigore, la semplicità, l’austerità quasi monacale, Elsa Schiaparelli era l’esuberanza. Il colore, quasi una necessità assoluta, era un suo marchio di fabbrica. Colori dalle sfumature particolari, come il blu pervinca, il lavanda, il verde lattuga, l’arancio. E sopra ogni altro, bam! il rosa shocking. La sua moda era luce, esaltazione delle linee, delle forme, dei tratti, tutti particolari che non dovevano assolutamente sfuggire all’occhio, mai passare inosservati.

Le donne, grazie e lei, indossarono le prime gonne-pantaloni (comodissime per andare in bicicletta) e le ‘robes drapées’, più tardi trasformate in un’icona di stile da Diane Von Furstenberg: i wrap dress.

 

 

 

 

 

 

Regno dell’imponderabile, del sorprendente, con Salvador Dalì, Elsa Schiparelli crea anche ‘l’abito scheletro‘. Grazie ad una tecnica particolare di tessuto matelassè che dà corpo a costole, colonna vertebrale, tibia, fianchi, cassa toracica. Era una vera innovatrice non c’è che dire. Eclettica e visionaria. Fu lei a utilizzare la chiusura lampo in modo appariscente nell’alta moda, senza nasconderla ma esponendola in abiti stravaganti, eccentrici, capricciosi e sofisticati. Disegna cappelli di paglia con insetti coloratissimi e piume di martin pescatore, copricapo a forma di scarpa e gioielli vistosi, da indossare su abiti semplicissimi. Ha persino introdotto e sviluppato i tessuti stropicciati (Miyake ci ha poi fatto una carriera).

Le presentazioni delle sue collezioni non erano semplici sfilate, ma veri e propri spettacoli, con trucchi, musica ed effetti di luce, che attiravano spettatori al pari di un teatro.

Wallis Simpson, Marlene Dietrich, Katharine Hepburn, Greta Garbo, Lauren Bacall, Gala Dalí, Nusch Eluard, Vivien Leigh, Ginger Rogers, Juliette Gréco e Mae West erano alcune delle più assidue frequentatrici e clienti della boutique. Elsa inizia creando maglieria con immagini surrealiste, passa alla creazione di costumi da bagno e poi agli abiti da sera in seta. Le viene anche attribuita la prima versione dell’abito a portafoglio (la signora von Furstenberg le sarà per sempre grata) e… la creazione di pantaloncini!!! Ed ecco che il mio cuore di allenatrice sussulta guardando l’audace completo che la grandissima Lili de Alvarez (nella foto) indossava a Wimbledon nel 1931.

Come le nostre altre donne ribelli della Rive Gauche, con l’arrivo della seconda guerra mondiale, nel luglio del 1940, Elsa lascia la città per andare negli Stati Uniti. Le fu proposto il ruolo di direttrice del dipartimento di moda (Fashion design) del Museum of Modern Art (MoMA) di New York, ma lo rifiutò per tornare a Parigi portando con sé migliaia di confezioni di vitamine per aiutare gli abitanti della città occupata. Fu poi costretta, dopo poco tempo, a trasferirsi di nuovo a New York fino alla fine della guerra, militando nella Croce Rossa Internazionale. Tornerà a Parigi subito dopo la fine della guerra.

Il crollo della Maison Schiaparelli inizia dopo la presentazione della collezione New Look di Christian Dior del 1947, che segna il declino della silhouette femminile di Schiap, squadrata e con spalle imbottite ben delineate. Dior e Cristóbal Balenciaga sono i nuovi stilisti degli anni ’50. Schiap ha forti difficoltà economiche e nel 1954 dichiara la bancarotta. Decide di chiudere la casa di moda, e il 13 dicembre 1954 termina la sua attività. Sempre nel 1954 pubblica a Londra il libro autobiografico Shocking Life,  poi si ritira nel palazzo di Hammamet, in Tunisia. Morirà nel sonno il 13 novembre 1973, all’età di ottantatré anni, a Parigi.

Il vestito perfetto che resiste alla moda e alla vita è solo uno: il vestito della libertà”.

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