Penna e fucile. La vita coraggiosa della poeta Krystyna Krahelska (1914-1944)

Penna e fucile. La vita coraggiosa della poeta Krystyna Krahelska (1914-1944)

Penna e fucile. La vita coraggiosa della poeta Krystyna Krahelska (1914-1944)

Non sono nata dalla polvere, non ritornerò polvere.
Non sono discesa dal cielo e non tornerò in cielo.
Io stessa sono il cielo come una volta di vetro.
Io stessa sono la terra come fertile suolo.
Non sono fuggita da alcun luogo e non tornerò laggiù.
A parte me stessa non conosco altra lontananza.
Nel turgido polmone del vento
E nel cuore indurito delle rocce
Devo me stessa qui dispersa ritrovare.
[Zuzanna Ginzanka –Nota a margine ( 1936)]

Durante la seconda guerra mondiale sono morte tantissime poete e scrittrici. Assassinate nei più svariati e terribili modi. Chi nel campo di sterminio ad Auschwitz perché ebrea: gassata come Etty Hillesum, di tifo come Hélène Berr e Irène Némirovski, dopo anni di lavori forzati come Gertrude Kolmar. Chi fucilata nel cortile di una prigione come Zuzanne Ginzanka. Chi sul campo di battaglia, con una baionetta in canna, combattendo per la libertà tra le file partigiane, come Krystyna Krahelska. Oggi voglio parlarvi proprio di lei, di Krystyna, della vita e della lotta di questa incredibile donna, poeta e combattente, capace di versi bellissimi e della temerarietà di chi – armi in pugno – si batte per la libertà.
Di questa poeta capace di versi lievi, che allo scoppio della guerra si unisce alla Resistenza partigiana come infermiera e diviene poi spia e agente di collegamento.
Di questa combattente che fa da corriere per la Resistenza e nel 1942 partecipa a un’operazione di spionaggio (Wachlarz 6) carpendo informazioni al nemico grazie alla sua conoscenza delle lingue e dei costumi ucraini, russi e bielorussi. Di questa poeta con la baionetta in una mano e la penna nell’altra, che scrive versi sugli alberi tristi che guardano il gelo dell’erba luccicante, mentre i tigli perdono le foglie.

Gli alberi sono tristi

“Gli alberi da cui cadono le foglie sono tristi,
Frizzante e luccicante
È l’erba morta triste dal gelo
Foglie che il vento fa giocare.
Ma forse il più triste è il tiglio che sta nudo,
Aprendo all’azzurro la sua chioma senza foglie”.

Krystyna Krahelska nel 1945 è infermiera nel 1108° plotone dell’esercito nazionale “Jeleń” e attacca con la sua divisione un edificio occupato dai tedeschi. È il primo giorno della rivolta di Varsavia e l’ultimo della sua vita.  Nei giorni successivi, la seguiranno nella tomba tanti altri giovani poeti.  È un’ecatombe: muoiono Krzysztof Kamil Baczyński, Tadeusz Gajcy, Zdzisław Stroiński, e dopo di loro, a settembre, Józef Szczepański, l’autore del poema profetico La peste rossa.
Tutti giovani artisti e artiste, poeti e poete, che sapranno levarsi al di sopra degli eventi della guerra e della morte lasciandoci come proprio testamento, patriottico e di vita, le parole delle loro poesie.
Parole che ci sono giunte nei modi più impensabili, forti di una passione interiore e un’umanità che non vuole spegnersi neanche quando vogliono che tu diventi, anzi, che tu sia, solo, una bestia.
Parole che possiamo leggere perché qualcuna, a rischio della sua stessa vita, ha usato brandelli di carta delle latrine per scriverci la propria testimonianza. “Questi diari, queste opere, sarebbero diventati armi di vita, anziché di morte e distruzione, che proclamavano in eterno la verità inappellabile di ciò che era accaduto. Armi di pace e comprensione […] tra essere umani… armi anche per opporsi all’indifferenza, allo «sfinimento», alla saturazione o addirittura al disagio per l’incommensurabilità della tragedia […] che provocava il genocidio di sei milioni di esseri umani accaduto […] nella «civilizzata» Europa.” (Mercedes Monmany, Sai che Tornerò, 2022)
I Diari di Etty Hillesum sono giunti a noi solo perché lei, in caso non fosse tornata, li aveva affidati a un’amica prima di essere deportata. Gli scritti di Irène Némirovski, pubblicati dopo la sua morte sono rimasti per anni in una valigia passata e custodita di generazione in generazione finché la nipote non l’ha aperta e li ha ritrovati. Le canzoni e poesie di Ilse Herlingher Weber salvatesi solo perché sepolte prima della deportazione e disseppellite dal marito dopo che lei era stata assassinata col gas a Terezin.

Krystyna Krahelska, poeta e patriota, nome di battaglia “Danuta”, cade ferita da tre colpi di pistola al petto da un nazista durante l’assalto della sala stampa in via Marszałkowska, a Varsavia.

Così ricorda quel giorno Janina Krassowska “Jagienka”, la sua più cara amica del gruppo di infermiere, che ha cercato senza successo di aiutarla:
“Il 1° agosto abbiamo attaccato la redazione e la tipografia di Nowy Kurier Warszawski (Nuovo corriere di Varsavia), in quel momento in mano ai tedeschi. Abbiamo attraversato Polna. I ragazzi sono entrati a forza nel cortile. Poi sono stati sparati i colpi.  Abbiamo dovuto ritirarci. Ci siamo sparpagliati per il campo. Eravamo sdraiate per terra con in mezzo a girasoli, barbabietole e patate. Danuta cadde proprio accanto a me, colpita tre volte dai tedeschi mentre cercava di raggiungere un compagno ferito. Mi avvicinai di soppiatto a lei con “Heather”. Abbiamo provato a girarla sulla schiena. In quel momento Heather le cadde accanto, anche lei colpita. Ero sola, il resto del plotone sparpagliato da qualche parte. Non c’era niente che potessi fare per aiutarla. Dopo il tramonto, ci ritirammo a Polna, in una fabbrica. Da lì è uscita una pattuglia con una barella che portato Danuta alla struttura sanitaria. Non conoscevamo la pattuglia, non sapevamo dove l’avessero portata. Abbiamo cercato i punti più vicini. Senza alcun risultato…”

Krystyna Krahelska non muore subito, resiste tutta la notte. Cede solo la mattina dopo, il 2 agosto, per la gravità delle ferite.

Voglio ricordarli quei giorni, perché sono così vicini oggi, così attuali e anche se sono passati 70 anni, sono ancora, di nuovo, purtroppo, così veri.

Sono i giorni della Rivolta di Varsavia, la più grande insurrezione per la libertà della Seconda guerra mondiale che scoppia il 1 agosto 1944 e durerà 63 giorni. La battaglia trasforma la città in un inferno e colpisce duramente la popolazione civile, stretta fra i due fuochi, stremata dall’improvvisa scomparsa di generi alimentari e oggetto della brutale repressione. Heinrich Himmler, comandante supremo delle SS, dà ordine di uccidere senza distinzione di età, di sesso e di funzione; ordina di sparare anche ai bambini, alle donne, al personale medico e ai religiosi, nonché di bombardare e  incendiare gli edifici senza curarsi di chi li occupa.
Gli omicidi sulla popolazione civile commessi a Varsavia (specialmente nei quartieri di Wola – 38.000 persone – Ochota – oltre 10.000 – e di Mokotów) hanno l’intento di distruggere la forza vitale della resistenza e la città, capitale del paese. La gente viene raccolta nei capannoni delle fabbriche, nelle chiese e in altri grandi edifici e poi uccisa a sangue freddo. Vengono uccise intere famiglie persino i neonati. I cadaveri sono ammassati in grandi pile a cui poi viene appiccato il fuoco. (La guerra è sempre la stessa. Non cambia mai. L’unico modo per cambiare, cambiare tutto davvero, è smettere di farla.)
Il caporale Maciej Kuczyński detto “Krot” racconta così uno di quei primi giorni:
“La sera del secondo giorno della Rivolta, in uno degli appartamenti di Śródmieście, ho sentito questa canzone per la prima volta. Hej chłopcy, bagnet na broń! (Ehi ragazzi, baionetta in canna!) Questa canzone ci ha seguito per tutta la Rivolta. Le sue parole e la sua melodia rimarranno nella mia memoria per sempre. Non sapevo allora, quando la cantavamo, che l’autrice di questa canzone, Krystyna Krahelska, era già morta”.
Krahelska è leggermente più vecchia della “generazione bellica” di poeti della sua epoca: Baczyński, Gajce e Andrzej Trzebiński. Non è particolarmente vicina a loro e ha una formazione diversa. Viene da una zona tra Polesie e Nowogródek (due regioni dell’attuale Bielorussia) considerata lontana terra di confine. Nasce nella tenuta Mazurka sul fiume Szczara, nell’anno dello scoppio della prima guerra mondiale. Suo padre Jan è nell’esercito e svolge importanti funzioni militari e amministrative. Per questo durante l’infanzia Krystyna si sposta con la sua famiglia in tutto il paese. Nel 1932 si diploma, poi si iscrive a geografia ed etnografia all’Università di Varsavia.  È nell’influenza della sua infanzia, di quei paesaggi e lande di confine, che la sua poesia inizia:

A quindici anni Kristina compone Infanzia lontana che contiene già una prima riflessione giovanile, la consapevolezza del tempo che passa e l’ingresso nell’età adulta:

Infanzia, infanzia lontana,
Foresta profumata senza confini,
Che sia successo anche così in fretta
eppure – per niente.
Ti rimane un profumo
E la fredda rugiada nuda
E silenziose notti autunnali
E l’inverno in tronchi ardenti.
Non un solo libro letto,
criniere di cavallo e libertà lussureggiante,
Per l’infanzia, l’infanzia lontana,
Scorreva come un’acqua stretta.

Indubbiamente non possiamo discostare l’opera di Krystyna dall’influenza degli eventi bellici che vive come “Danuta”, lei che vive e spende i suoi giorni tra le fughe dalla prima guerra mondiale e le battaglie della seconda. Da liriche del paese dell’infanzia, paesaggi e momenti fugaci, dalla nostalgia delle terre di confine, nasce la sua poesia: dell’esistenza già cosciente, della responsabilità e della lotta. La sua poesia è una poesia del dovere e dell’azione di fronte ai pericoli della distruzione e dello sterminio, poesia combattiva, eroica, spesso semplificata in forma verbale e musicale, una canzone che ti scalda per la battaglia ma anche profondamente spirituale. Krahelska ha scritto molte poesie, lei che non si considerava una poeta. La sua produzione segue due filoni differenti che spesso s’intersecano: la poesia lirica, dal carattere intimistico e malinconico, e la canzone patriottica, con testi e melodie di molti inni della resistenza polacca. I suoi componimenti rivelano una sensibilità poetica affinata non attraverso le letture o la frequentazione di ambienti letterari, bensì mediante un contatto diretto con la natura, il folclore e la musica, con influenze del retaggio romantico. Questo topos fonda le sue radici nell’ammirazione che la poeta nutre per la natura, che diventa specchio dei suoi stati d’animo, delle sue emozioni, dei suoi amori, della sua gioia di vivere ma anche delle angosce, dei turbamenti e delle delusioni. Attiva in molti settori, ha persino, come detto, uno spiccato talento musicale. Dalle canzoni cantate a squarciagola alle feste popolari, alle canzoni per le formazioni combattenti. Di “Ehi ragazzi, baionetta in canna!” non solo sono sue le parole ma anche la musica.

“Ehi ragazzi, baionette in canna!”
Perché chissà se è domani, dopodomani o oggi
Arriverà l’ordine che dobbiamo andare ora,
Granate in mano e baionetta sull’arma.

Scrive canzoni di guerra il cui scopo è quello di mantenere alto il morale fra i partigiani, ricordare perché si combatte e riaffermare il sentimento patriottico. Un po’ come i canti legionari: il senso d’incertezza verso il futuro che non deve avvilire o suscitare paura, ma che invece deve essere accolto come un incoraggiamento a combattere: superato il torpore e la sofferenza, bisogna avere speranza nel futuro e impugnare in mano le armi e lottare. Ed è sempre nella natura che la poeta trova metafore e similitudini naturalistiche per menzionare la guerra. Per Kristina, come per la nostra Antonia Pozzi, la natura è magistra vitae (maestra di vita), dispensatrice materna di saggezza primordiale. In tutte le sue canzoni Krahelska si ispira ai canti e alle musiche tradizionali, la natura è sempre protagonista. In una poesia senza titolo datata 1930, Krystyna Krahelska esprime il suo credo poetico basato su un’identificazione con il regno naturale, una percezione del mondo come sintesi di elementi naturali e umani:

Dalla foresta ho imparato a vedere,
Dal vento ho imparato a cantare
Nel mio cuore sono l’autunno e il vento

Nella bellissima poesia musicata (riproducibile nel link sottostante) Kołysanka, cioè Ninna Nanna del 1941, la natura, inalienabile madre e compagna, convive con i giorni della guerra dando rifugio a un'”arma sepolta”:

Un fiume triste, su di lui sta nuotando la Luna
Sopra di lei, mani scure piegano un acero,
Dormi piccola, niente dice niente,
Un’arma è sepolta nelle tombe.
Dormi piccola, niente dice niente,
Un’arma è sepolta nelle tombe.
Il triste fiume si è addormentato nella foresta ombrosa
Stelle d’argento caddero nelle profondità d’argento,
Da qualche parte nei campi, da qualche parte nelle foreste nebbiose
L’arma sepolta sta sonnecchiando vigile.
Da qualche parte nei campi, da qualche parte nelle foreste nebbiose
L’arma sepolta sta sonnecchiando vigile.
Un fiume triste, su di esso piovve la luna
La notte oscura posa una mano sulle foglie,
Dormi figlio, dormi soldato figlio,
Presto sveglieremo le armi.
Dormi figlio, dormi soldato figlio,
Presto sveglieremo le armi
https://www.spiewnikniepodleglosci.pl/teksty/tekst-utworu-kolysanka-o-zakopanej-broni/

Krystyna, coinvolta nella clandestinità, fa parte dell’Unione di lotta armata, poi dell’esercito nazionale. Fa da ufficiale di collegamento e corriere: porta ordini, armi e munizioni. Per questo in Kołysanka parla di un'”arma sepolta”. Quando, dopo la laurea, inizia a lavorare presso l’Istituto per l’agricoltura di Puławy gestito dai tedeschi (ribattezzato Istituto di ricerca agricola del governo generale), continua la sua attività clandestina. Viene a va da Varsavia, partecipa a riunioni cospirative, presenta le sue canzoni scritte per unità partigiane. Ma la città la soffoca. Per lei, cresciuta in campagna, in quelle terre lontane e selvagge, convivere con la metropoli è una sofferenza che ben emerge nelle sue carte, in questa poesia senza titolo scritta appena dopo essersi trasferita dalla sua piccola città natale a Varsavia, dove si sente disorientata e turbata.

“Io sono una foglia randagia tra grigi muri”

La foglia che vaga in balia del vento è metafora di un’identità che svanisce, di un Sé perso nel grigiore di una metropoli anonima che le genera ansia – “Mi contorco come foglie sugli alberi” – e solitudine “Ero sola lì, come un albero tra gli alberi” – e disperazione “Delle mie ore buie ore / Scarmigliata come acero nella tempesta / Non lo saprai mai.”
Secondo sua cugina e biografa Halina Krahelska, la città stava soffocando; Krystyna si sentiva oppressa dalle strade strette, rinchiusa, chiusa. In città non poteva respirare, le mancavano i campi aperti, il vasto cielo. […] La città le era qualcosa di estraneo, un ambiente con cui non riusciva a familiarizzare.
Quando arriva la guerra, provoca in lei una doppia attività: nelle forze clandestine e in campo intellettuale. Si scatena febbrilmente la sua creatività letteraria.
Krystyna scrive individualmente e partecipa a gruppi letterari e collettivi ideologici come “Sztuka i Naród”(Arte e Nazione), dove si discute non solo di letteratura, ma anche del futuro della Polonia,

Nel dicembre del 1942 in piena guerra compone Con fili di martirio che ha il carattere di una preghiera
“Cristo, Signore delle croci rotte lungo la strada
Dacci la forza di resistere, dacci la voglia di essere coraggiosi!
E avvicinare la Polonia ai nostri occhi stanchi.
Salvatore ferito delle chiese bruciate,
Trasforma ogni goccia del nostro sangue in piombo!
Sopravviveremo da qualche parte nel seminterrato se sarà necessario

O come in Preghiera per la nostra fede:

O Madre Santa […]
Non permettere che i nostri cuori si spezzino mentre soffriamo nelle carceri, nei campi;
Aiutaci tutti, quando ci indeboliamo, a rimanere forti,
E mantieni il pensiero fermo nella nostra mente:
Santa Madre […]Nostra Dolcissima Signora!
Sei venuta da noi per curare le ferite sui nostri volti
Imposte dalle mani del nemico,
E per i nostri corpi indifesi che hanno preso i proiettili e baionette.
Donaci una sola preghiera:
Dacci la forza per andare avanti e sopravvivere.

Ascoltando il suo canto di guerra, pensando alle truppe di partigiani che la cantano insieme dandosi forza, sembra così strano parlare della morte di Krystyna, perché è ancora qui, tra noi, con tutta la sua forza e la sua poesia.

“Ehi ragazzi, pistola a baionetta!”
Perché chissà se è domani, dopodomani o oggi
Arriverà l’ordine che dobbiamo andare ora,
Granate in mano e una baionetta su un’arma.”

Pensate solo che, due settimane prima dello scoppio della guerra, il 15 agosto 1939, il presidente di Varsavia, Stefan Starzyński, inaugurò un monumento alla Libertà, la “Sirena di Varsavia”, rappresentata da una figura femminile che, con una spada alzata verso l’alto, si scherma con uno scudo. Quella statua è ora simbolo della Resistenza di Varsavia. Una resistenza sul campo anche al femminile che sarebbe presto avvenuta, per mano e morte, anche di questa donna prode, questa poeta-combattente, Krystyna Krahelska.
Sembra incredibile che questo bellissimo monumento in bronzo sia sopravvissuto alla guerra, ai tedeschi, che non riuscirono a distruggerlo, come fosse un monito, come se i valori che porta in sé fossero più saldi e duraturi della violenza nazista.
Ma soprattutto sembra un segno del destino che, dopo la guerra, quando hanno avuto luogo i funerali della poeta e le sue spoglie sono state trasferite al cimitero di Służew, la scultrice della Sirena di Varsavia, Ludwika Nitschowa, abbia confessato che la modella che aveva posato per il monumento era… proprio Krystyna. Non è incredibile? E non è bellissimo? (R.F.)

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