Sophie Scholl: il coraggio di cambiare

Sophie Scholl: il coraggio di cambiare

«Strappate il mantello dell’indifferenza che avvolge il vostro cuore! Decidetevi prima che sia troppo tardi»

Non è uno slogan ecologista, anche se dimostra come le grandi e importanti proteste siano rappresentabili tutte con le stesse parole.

Sophie Scholl, classe 1921, aveva meno di 12 anni quando i nazisti presero il potere. Benché suo padre fosse contrario, molto contrario, nel 1933 entrò volontariamente a far parte della Gioventù Hitleriana (Hitlerjugend) col fratello Hans, e le sorelle Inge ed Elisabeth. Scrivo di Lei proprio per questo. Ascoltate la sua straordinaria storia, che ci riguarda tutte e tutti, nessuno escluso. Come ogni giovane di allora, come pure tanti fascisti in Italia, i fratelli Scholl erano stati contagiati dall’entusiasmo delle idee nazionaliste apprese, per così dire, nelle organizzazioni giovanili che Hitler aveva approntato con il preciso scopo di annullare, fin dagli albori, la coscienza civile del popolo tedesco.

Questi ragazzi e queste ragazze entrano nelle nostre organizzazioni all’età di dieci anni […]; dopo quattro anni trascorsi nel Gruppo Giovani passano alla Gioventù Hitleriana,[…] E anche se a quel punto non sono ancora dei Nazional Socialisti al cento per cento, poi passano nel Corpo Ausiliari e lì vengono ulteriormente ammorbiditi, per sei, sette mesi… Dopodiché, qualunque coscienza di classe o di status sociale possa essergli ancora rimasta … se ne occuperà la Wehrmacht [l’esercito tedesco].” Adolf Hitler (1938).

Ma se la maggior parte di quelli che erano sottoposti a questa “educazione” non trovò la forza di opporsi al proprio annullamento e restò nazista fino alla fine, così come la gran parte parte dei fascisti italiani, i fratelli Scholl, aprirono gli occhi. Quattro anni dopo avevano già capito che il regime era una bugia e una infamia e si unirono, per la gioia del padre, alla “resistenza” contro la dittatura. Questa è la storia di una presa di coscienza. Di una metamorfosi. E del sacrificio per una giusta causa. Si può sbagliare. Ma si può sempre correggere la rotta. Si può fare la cosa giusta. C’è sempre una scelta. Anche se a volte comporta la morte.

Già negli ultimi anni di scuola, Sophie aveva compreso che ogni lezione era intrisa di ideologia nazionalsocialista e per lei la vita era diventata difficilissima: assunse un atteggiamento “privo di partecipazione ” che le creò da subito molti problemi. Ma non cambiò atteggiamento e riuscì comunque a diplomarsi a dispetto di tutti. Questo comportò che dovesse lavorare per minimo 6 mesi per il RAD, il corpo ausiliario istituito nella Germania nazista, quello che, fra le altre attività, fornirà supporto alla Wehrmacht durante la seconda guerra mondiale. Sophie, sperando di evitare l’impegno per il RAD, entrò nell’istituto per l’infanzia Fröbel di Ulm, ma nel marzo del 1941 venne assegnata a un campo di lavoro per giovani donne. In Germania allora c’erano già 2000 campi come quello, dove alloggiavano altre donne come lei, tutte tra i 18 e i 25 anni. Dovevano indossare le uniformi e avevano sessioni di addestramento ideologico condotte da insegnanti fanatiche.

Quando ci si chiede come un intero popolo sia diventato nazista non dimentichiamo tutto questo. Esattamente come avvenne per il comunismo della Cina di Mao. Le dittature sono tutte uguali, nere o rosse che siano. Nel campo, i pasti consistevano per lo più in patate bollite con tanto di buccia «… viviamo come prigioniere, non solo il lavoro ma anche le pause di piacere sono doveri. Qualche volta vorrei urlare: il mio nome è Sophie Scholl. Non dimenticatelo!». Nel maggio 1942, Sophie riuscì a raggiungere a Monaco il fratello Hans che, nel frattempo, aveva iniziato segretamente a impegnarsi in un’aperta e rischiosa opposizione al regime. Non voleva coinvolgere Sophie, così, quando lei arrivò in città, lui e i suoi compagni decisero di non raccontarle niente. Hans e i suoi amici progettavano di scrivere, stampare e distribuire volantini a Monaco per ridestare studenti, professionisti e intellettuali; informarli del grande male che divorava la nazione e il mondo, profetizzando che Hitler avrebbe perso la guerra. Presto Sophie si sarebbe unita a loro. Fondarono tutti insieme un movimento sovversivo, La Rosa Bianca, composto da cinque studenti: i fratelli Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf, tutti poco più che ventenni. Ad essi si unì anche un professore, Kurt Huber, che stese gli ultimi due opuscoli.

«Fate resistenza passiva, resistenza ovunque vi troviate; impedite che questa atea macchina da guerra continui a funzionare, prima che le città diventino un cumulo di macerie…»

I primi volantini della Rosa Bianca iniziarono ad apparire a Monaco verso la metà di giugno del 1942, quando Sophie era ancora all’oscuro dell’attività del fratello. Vennero spediti come stampe a tutta la cittadinanza. Alcune centinaia arrivarono anche alla Gestapo che indagò per settimane senza però trovare gli autori dell’iniziativa. Ormai l’università era completamente integrata nel sistema nazista e spie dell’Associazione degli studenti nazionalsocialisti si erano infiltrate in ogni classe: prendevano nota di quel che si diceva denunciando alla Gestapo studenti e professori. Presto cominciarono a circolare voci sulla comparsa di materiale antinazista. Il solo leggere tali volantini era considerato un reato.

Un giorno, durante una lezione, Sophie trovò un foglietto della Rosa Bianca sotto il banco su cui vi era scritto: “Per un popolo civile non vi è nulla di più vergognoso che lasciarsi governare senza opporre resistenza, da una cricca di capi privi di scrupoli e dominati da torbidi istinti“. Dentro l’università c’erano altri a pensarla come lei!!! Piegò il volantino e andò nella stanza del fratello per mostrarglielo, ma Hans non c’era. Cominciò a rovistare sulla scrivania e girando le pagine di un libro vi trovò sottolineati i passaggi del volantino, parola dopo parola. A Sophie mancò il fiato: era il momento della verità. Poco tempo dopo suo padre fu processato e condannato a quattro mesi di reclusione perché, in un momento d’ira, aveva urlato che Hitler era un flagello dell’umanità. Sophie capì che la Gestapo avrebbe rovistato dappertutto e si affrettò a tornare nella stanza sua e del fratello per mettere ordine ed essere certa che i nazisti non trovassero alcuna prova. Nel mese di agosto, Sophie cominciò ad andare in fabbrica. La sera si recava alla prigione dove sperava di vedere il padre e sotto le mura col flauto intonava Die Gedanken sind frei (I tuoi pensieri sono liberi), una canzone rivoluzionaria del 1848, simbolo della Germania liberale e contraria al dispotismo.

Tornati dalla Russia e riunitisi a Monaco, i membri della Rosa Bianca, sentirono che dovevano unirsi al movimento di resistenza nazionale. A Sophie fu assegnata la responsabilità della cassa: distribuiva il denaro e cercava di tenere una sorta di contabilità. Nel giro di due mesi, dal novembre del 1942 agli inizi di gennaio del 1943, l’operazione della Rosa Bianca si era trasformata da azione isolata di alcuni studenti idealisti, in una rete in espansione che andava diffondendosi nella Germania sud-occidentale, fino ad arrivare al nord, verso Amburgo e, soprattutto, verso Berlino. Le copie dei loro volantini venivano stampate una alla volta, ogni notte, con una macchina azionata a mano da una manovella. Un lavoro faticosissimo. Per restare svegli, e lavorare durante il giorno, rubavano degli eccitanti dalle cliniche militari dove lavoravano come medici.

Sophie andò a Augusta, Ulm e Stoccarda, da dove spedì circa 800 volantini. Il 18 febbraio del 1943, a Monaco, poco dopo le 10 del mattino, Hans e Sophie lasciarono il loro appartamento e si incamminarono verso l’università con una grossa valigia. Arrivati mentre le lezioni erano ancora in corso, cominciarono a mettere una grande quantità di volantini davanti alle porte delle aule, sui davanzali e sulle grandi scale che conducevano all’entrata principale. Distribuirono dai 700 ai 1800 volantini. Finito tutto, proprio quando stavano per lasciare l’edificio, si accorsero che gli erano rimasti alcuni volantini, così risalirono le scale fino all’ultimo piano, e dalla balaustra gettarono gli ultimi fogli. Nello stesso istante le porte delle aule si spalancarono e gli studenti cominciarono a uscire. Hans e Sophie furono scoperti e condotti nell’ufficio del rettore. Non opposero resistenza. Poi vennero portati al quartier generale della Gestapo e interrogati per 17 ore in stanze separate. Così come prevedeva il piano del gruppo in caso di cattura, per salvare gli altri, entrambi sostennero di essere loro, e loro soltanto, a costituire la Rosa Bianca.

Furono accusati di alto tradimento e il processo venne fissato per il giorno seguente, lunedì 22 febbraio, al Palazzo di Giustizia di Monaco. Il mattino dopo Hans e Sophie furono prelevati dalle loro celle. Quando Else, la compagna di cella di Sophie, tornò nella cella vuota, trovò sul letto ben rifatto di Sophie un foglio di carta; era l’atto di incriminazione di Sophie sul cui retro, prima di morire lei aveva scritto la parola “libertà”. Furono entrambi condannati a morte e portati alla prigione di Stadelheim.

In prigione si era sparsa la voce di quei due giovani e coraggiosi studenti nella mani della Gestapo e del loro infame processo. Anche il personale del carcere li ammirava. Le guardie infransero le regole e fecero uscire i fratelli Scholl dalle loro celle per incontrare i genitori. La madre di Sophie le aveva portato dei dolci.

E poi vi fu la ghigliottina. Sophie fu la prima. Erano le 5 del pomeriggio. Camminò dritta mentre attraversava il cortile scortata dalle guardie. Erano trascorse solo 3 ore dalla conclusione del processo. Quando gli americani e gli alleati seppero di Rosa Bianca, stamparono i loro volantini in migliaia di copie e li lanciarono sulle città tedesche. Le parole di quei giovani scesero dal cielo su tutte le città e furono lette da migliaia di persone. Ora la piazza di fronte all’edificio principale dell’ateneo è intitolata a Hans e Sophie Scholl e nel cortile dell’università c’è una rosa bianca intagliata nel marmo.

Il busto di Sophie è entrato nel Walhalla, il tempio degli eroi tedeschi.

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