Dolores Ibàrruri, la Pasionaria

Dolores Ibàrruri, la Pasionaria

Dolores Ibàrruri, la Pasionaria

Che Dolores Ibàrruri fosse una donna piena di passione, è evidenza storica. Però il soprannome di Pasionaria veniva, come lei stessa rivelò, da tutt’altro: il suo primo articolo, scritto per un piccolo giornale della sinistra, fu pubblicato proprio la settimana prima di Pasqua, la settimana della Passione, e da ciò trasse lo pseudonimo. Dolores veniva da una famiglia basca molto religiosa e lei stessa aveva pensato di farsi monaca; in effetti la sua vita è stata interamente consacrata all’antifascismo e al comunismo.

Nata nel 1895 a Gallarta, nella zona mineraria di Somorrostro, a ovest di Bilbao sul golfo di Biscaglia, era l’ottava di undici figli. Il padre, minatore nelle miniere di ferro a cielo aperto, lavorava dall’alba al tramonto per una paga da fame. La madre era una donna rigida, dura per indole o necessità. Vivevano in una baracca e il paesaggio doveva essere simile all’inferno, fra i fumi delle miniere e quelli delle vicine fabbriche di Bilbao. Dolores era sveglia e ribelle e invano la madre cercava di domarla a suon di ceffoni. Avrebbe voluto studiare, ma giovanissima dovette andare a servizio in città presso famiglie facoltose. A vent’anni non ne poteva più. Per uscire da quella vita grama e senza speranza sposò nel 1916 un operaio socialista militante del PSOE (Partido Socialista Obrero Español) e, come tale, sempre dentro e fuori dal carcere. Juliàn Ruiz, così si chiamava, non era certo un genio, ma fisicamente non male: Dolores era piuttosto alta e lui altrettanto, così non sfigurava e non la metteva in imbarazzo.

Ebbero sei figli, dei quali sopravvissero agli stenti dell’infanzia soltanto due, Rubén e Amaya. Non fu un matrimonio particolarmente felice, durò una quindicina d’anni e finì per consunzione quando nel 1931 Dolores si trasferì a Madrid. Juliàn fu sempre molto signorile: non si sentì surclassato dalla moglie che in breve fece una carriera politica più brillante della sua, anzi quando si separarono affermò nobilmente: “Io perdo una moglie, il partito guadagna un dirigente”. Forse era anche stanco di avere in casa un dirigente del partito. Che, nel frattempo, era diventato quello comunista, nato da una scissione del PSOE.

Sulla scia del marito Dolores aveva intrapreso la strada della militanza politica, strada molto ardua soprattutto per una donna. Lei poteva contare su un grande fascino, non però nel senso in cui lo intendiamo noi oggi. Vestiva infatti sempre di nero e in modo castigato, come nella tradizione basca, ma era di una eleganza naturale, semplice e senza fronzoli, e riusciva a contagiare con la sua passione politica, a infiammare la folla con i suoi discorsi. Trasparivano in essi non astratti ideali ma una vita vissuta con affanni e dolori, nonché una assoluta determinazione al riscatto.

Dolores non fu mai una femminista vera e propria, come altre contemporanee che militarono nel movimento anarchico. In quanto comunista era molto severa nella morale sessuale e si sentì grandemente in colpa per la relazione con Francisco Antòn, parecchio più giovane di lei; fu l’unica, pare, di tutta la sua vita oltre a quella col marito. L’ impegno nei confronti delle donne era piuttosto rivolto ad emanciparle, liberandole dalla miseria e dal peso di dover tirar su da sole i figli mentre i compagni erano tutti presi dalla lotta di classe o passavano anni in galera. I tempi erano durissimi. Non solo la Spagna viveva in un terribile stato di arretratezza, ma le classi dirigenti erano tanto inette quanto sfruttatrici. Le pessime condizioni dei braccianti e degli operai sfociavano spesso in rivolte spontanee e irrazionali regolarmente soffocate nel sangue dalla Guardia Civil, come la Semàna Tragica di Barcellona del 1909 e la rivolta delle Asturie del 1934. Nel febbraio del 1936, finalmente, libere elezioni mandarono al governo la sinistra: si attendeva un periodo di pace sociale e grandi riforme, senonché, in luglio, l’alzamiento, la rivolta militare guidata dal generale Francisco Franco, dette il via alla guerra civile.

Dolores si buttò in una strenua attività a sostegno della Repubblica. Non potendosene occupare e per loro sicurezza spedì i figli adolescenti a studiare a Mosca. Visitò i numerosi fronti, entrò coraggiosamente nelle caserme per convincere i soldati a non seguire gli ufficiali ribelli, tenne comizi di massa, viaggiò per cercare l’appoggio della Francia e dell’Inghilterra alla causa della Repubblica. Appoggio vilmente negato, com’è noto. Insomma, era una infaticabile animatrice della resistenza popolare e in quel periodo prese forma il suo mito. Sono rimaste celebri alcune frasi come “No pasaran!”, pronunciata in un discorso alla radio due giorno dopo l’alzamiento, e “Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”. Suo anche il commovente discorso di addio alle Brigate Internazionali, formate dai volontari di più di cinquanta nazioni, che avevano coraggiosamente combattuto a fianco dei miliziani e dell’esercito repubblicano spagnolo. “Voi siete la storia, voi siete la leggenda, siete l’esempio eroico della solidarietà e della universalità della democrazia. Non vi dimenticheremo! E quando l’ulivo della pace metterà le foglie, intrecciate con gli allori della vittoria della Repubblica spagnola, tornate! Tornate e qui troverete una patria”. Era l’ottobre 1938.

lo scatto è di Gerda Taro

Nel frattempo Dolores, entrata a far parte della direzione del partito, acquisiva sempre più rilievo. La sua presenza, unica donna, non passava certo inosservata: era lei a determinare, per così dire, il tono emotivo delle riunioni che fosse di calore, rabbia o allegria. Una macchia cupissima e mai chiarita è quanto sapesse dello sporco lavoro dei commissari politici staliniani, che facevano sparire o fucilavano direttamente gli anarchici, in teoria loro alleati nella difesa della Repubblica. Vittime furono, fra gli altri, Andreu Nin, capo del POUM, e l’italiano Camillo Berneri. Vergognosi, in particolare, furono gli scontri delle Jornadas de Mayo del 1937, cui partecipò anche George Orwell che li narra in “Omaggio alla Catalogna”.

Dolores, ahimè, non vedeva nulla, aveva una fiducia cieca nel partito e restò indenne da ogni dubbio anche quando, perduta la guerra, dovette riparare in Unione Sovietica. Incredibilmente, nessuno dei dirigenti aveva previsto la sconfitta e predisposto un piano di passaggio alla clandestinità né di fuga. Lei all’ultimo momento distribuì alle amiche che restavano in Spagna qualche vestito, un paio di scarpe, un foulard e, come necessario travestimento, si acconciò da elegante borghese con tanto di collana e cappello.

Gli esuli spagnoli furono accolti bene, ma quasi subito fu l’Unione Sovietica a trovarsi in difficoltà per l’invasione nazista. Alcuni di loro si arruolarono nell’esercito, fra cui anche Rubén Ruiz Ibàrruri, mortalmente ferito nell’assedio di Stalingrado. Un altro grande dolore di madre. La piccola comunità di quelli che erano stati eroi della guerra civile (fra cui Enrique Lister, el Campesino Valèntin Gonzàles, Juan Modesto, Manuel Tagüeña, lo stesso Antòn, la cui relazione con Dolores ben presto finì) restò a Mosca o comunque sotto l’orbita minacciosa di Stalin per tutto il periodo della guerra fredda e si sfaldò in una serie di dissidi, meschine rivalità, difficoltà di vita. Dolores riuscì a conservare un certo distacco da queste beghe e a mantenere una lucidità che le permise di prendere posizione contro l’invasione della Cecoslovacchia. Era il mitico ’68, da cui partirono enormi cambiamenti socioculturali compresa la progressiva distanza dall’ortodossia sovietica dei partiti comunisti europei. Nel frattempo la presa del franchismo si era allentata finché, alla fine del 1975, Franco finalmente morì. Con lui crollò la dittatura e il re Juan Carlos ristabilì in poco tempo il sistema democratico. Gli esuli potevano tornare.

In quegli anni, nonostante l’esilio, la Pasionaria non è stata affatto dimenticata, anzi è divenuta un mito e si fa strada lo slogan “Sì, sì, sì, Dolores a Madrid”. E lei effettivamente ci rimette piede il 13 maggio 1977, dopo trentotto anni, e lì morirà nel 1989. Nel 1995, ai pochi ancora viventi delle Brigate internazionali, il Parlamento democratico ha attribuito la cittadinanza spagnola. (M.P.)

 

Riferimenti

Alessandro Barile, Il Fronte rosso, Red Star Press, 2014
Anthony Beevor, La Guerra civile spagnola, Rizzoli, 2006
Bartolomè Benassar, La Guerra di Spagna, Einaudi, 2006
Dolores Ibàrruri, No Pasaran!, Red Star press, 2015
Manuel Vàsquez Montalban, Pasionaria e i sette nani, Frassinelli, 1997
George Orwell, Omaggio alla Catalogna, Mondadori, 1993
Paul Preston, La Guerra civile spagnola, Mondadori, 1999
Antonio Tabucchi, Dolores Ibàrruri versa lacrime amare in Il gioco del rovescio, Feltrinelli, 1981
Hugh Thomas, Storia della Guerra civile spagnola, Einaudi, 1963
Amanda Vaill, Hotel Florida, Einaudi, 2014

https://www.lavanguardia.com/hemeroteca/20191112/471519552807/dolores-ibarruri-la-pasionaria-partido-comunista-espanol-guerra-civil-pce.html

https://www.eltambor.es/dolores-ibarruri-pasionaria/

A Dolores molti poeti dedicarono versi
https://trianarts.com/rafel-alberti-una-pasionaria-para-dolores/#sthash.fcTtLHl2.dpbs
https://lewebpedagogique.com/gtillionbachibac/2018/10/10/poema-de-miguel-hernandez-sobre-la-pasionaria/

Il discorso di Dolores alle Brigate internazionali letto da Esperanza Alonso
https://www.youtube.com/watch?v=H3HtLLelVeo

No Comments

Post A Comment