LE DONNE E GLI ELEMENTI parte2 : FUOCO – Ela Bhatt, che ha trasformato le api operaie in guerriere

LE DONNE E GLI ELEMENTI parte2 : FUOCO – Ela Bhatt, che ha trasformato le api operaie in guerriere

LE DONNE E GLI ELEMENTI parte 2: FUOCO
Ela Bhatt, che ha trasformato le api operaie in guerriere

Ela Ramesh Bhatt, è nata nella città del Mahatma Ghandi, Surat , il 7 settembre 1933. Quando suo marito morì, come da usanze maschiliste e resistenti, nonché feroci, (se qualcuno di voi ha visto “Water” del 2005 diretto da Deepa Mehta può comprendere meglio) avrebbe dovuto bruciare viva nella pira funebre con lui. Ma lei non salì mai su quella pira. Quell’elemento, il Fuoco, Ela l’aveva già dentro, e l’avrebbe portato per noi nel mondo.

Il Fuoco è un Elemento dinamico, generatore di trasformazione, di distruzione anche: una distruzione benefica, che tende alla purificazione. Ed Ela fa questo per tutta la vita: distruggere le convenzioni e la violenza, la povertà, l’oppressione dei poveri per generare più democrazia, più giustizia, più valore. Per le donne lavoratrici e povere, e per il mondo intero. Attraverso il cambiamento del suo microcosmo trasformerà transitivamente l’energia del nostro macrocosmo, proprio come l’elemento che la caratterizza. Il Fuoco tende a purificare tutte le cose, elevandole a un livello di perfezione maggiore. Per tutta la vita Ela ha voluto occuparsi di politica, impensabile per una donna quando lei iniziò. A 16 anni, durante i suoi studi, chiese a  Ramesh Bhatt, suo futuro marito già attivista del partito del congresso, se poteva accompagnarla in uno slum per raccogliere dati sulle famiglie che abitavano lì. Gli slum sono il corrispettivo delle favelas del Brasile, è il nome usato per le baraccopoli dei paesi colonizzati dai britannici, come l’India o per esempio Kenya.

Ela veniva come si dice da “buona famiglia”, sua madre era impegnata nella difesa dei diritti civili mentre suo padre era un avvocato. Questa donna, coraggiosa e intelligente, è colei che fonderà nel 1972 il più grande sindacato femminile delle lavoratrici autonome dell’India con un milione d’iscritte: Sewa. Ela nel 1955 per prima cosa entra nel TLA (Associazione dei Lavoratori Tessili) il primo piccolo sindacato femminile nato nel 1920 da una lavoratrice, Anasuya Sarabhai, su ispirazione dello sciopero del 1917 guidato con successo da Gandhi. Nel TLA inizia la sua presa di coscienza sulla posizione indifesa delle donne, il cui lavoro è sempre poco considerato, molto meno pagato di quello maschile e reso pesantissimo dagli obblighi di cura familiare che gravavano tutti solo sulle loro spalle. Il suo FUOCO iniziò ad ardere. Il fuoco, Agni, che nutre l’Ardore, Tapas, di tutta la sua esistenza. Il grande maestro di Yoga B.S.K. Iyengar dice: “L’elemento Fuoco, Agni, deve accendere la mente e dire: “Per favore, apriti.” Allora la fiamma comincia a brillare e inizia la pratica”. Sì, perché il fuoco è azione, è pratica, è mettere in pratica ciò che porta alla trasformazione.

Nei Veda, antichi testi indiani, è sempre Kama, l’amore, il desiderio interiore, che fa del tendere dentro un tendere verso. Non c’è trasformazione senza amore, ma l’amore senza Tapas, senza l’ardere, manca di quello sforzo che ci fa uscire e divenire coscienza. Questa è Ela. Amore e Ardore. È così che Ela fonderà Sewa: in un Paese dove il 93% dei lavoratori è imprenditore di sé stesso e ogni mattina si sveglia per andare a vendere quel po’ di frutta, per cucire qualche vestito, per portare il tè negli uffici delle aziende straniere, a pulire case non proprie, lavare i panni per gli altri e cucinare cibo da vendere per le strade; insomma dove ogni giorno una moltitudine di piccole, piccolissime ma dignitosissime persone lotta per la sopravvivenza propria e della propria famiglia.

Nel 1971 Ela è nel frattempo diventata la responsabile della sezione femminile del TLA. Sewa (Self Employed Women Association) nascerà l’anno dopo ad Ahmedabad nel Gujarat, come sindacato di donne lavoratrici autonome. Sewa è figlia del Fuoco, di quel Fuoco che Ela si portata dentro fin da giovane, di quella pira che non la bruciò, ma è figlia anche “delle lotte delle sigaraie contro i mediatori del tabacco, delle cucitrici di coperte dagli stracci, delle venditrici di frutta contro le estorsioni della polizia di Ahmedabad, la città in cui Gandhi fondò il suo ashram.”1 L’aura gandhiana permea ancora oggi Sewa, riconosciuta ormai a livello internazionale, mantenendo il principio del «negoziato fraterno», della lealtà nei confronti dei concorrenti. Quando nel 1981 gli studenti di medicina delle caste più alte si ribellarono all’ammissione alla facoltà di una quota fissa di dalit, i cosiddetti intoccabili, facendo decine di morti, Ela Bhatt andò ad affrontarli: «Vedo le donne morire di parto perché nei villaggi si taglia il cordone ombelicale con un coltello sporco e arrugginito, e voi, voi pensate ai vostri posti». Questa era Ela! Sono cambiate molte cose grazie a lei e alle donne di Sewa.

Oggi nei villaggi le donne imparano ad avere un nome e usarlo, e non dire di sé solo «sono la madre di Jameel» o «la moglie di Bharat». Nel 1994 Ela Bhatt si dimette. Era stata ormai leader internazionale, una parlamentare e autrice di una grande inchiesta sulla condizione femminile e quando si è allontanata dalla presidenza di Sewa l’ha fatto con grazia e umiltà, “alla ricerca di qualcosa di più profondo”, che credo si trovi sempre nel suo ardore di vivere. Ha scritto un libro importante: «Siamo povere, ma tante». Ci spiega che nella banca di Sewa si intestano conti solo alle donne: un conto corrente tutto per sé. Ma vi rendete conto? Indipendenza economica!!! Alexandra David-Néel e Virginia Woolf dalle loro tombe stanno esultando, mi sembra di vederle: una festeggia con una qualche danza sciamanica, l’altra seduta in giardino con un sorriso d’approvazione sulle sue labbra sottili.

Ela è una donna eccezionale: già perché è ancora viva. Namaste Ela, “mi inchino a te”. Pensate che quando ebbe raccolto finalmente il capitale necessario a fondare la banca di Sewa, aveva bisogno di quindici firme di socie fondatrici che se ne prendessero la responsabilità giuridica. E cosa fece allora? Fece venire a casa sua quattordici donne analfabete e, dall’alba al tramonto, insegnò loro a scrivere il proprio nome. Io la amo. Come amo l’India devo dire, che da quando ci sono stata mi è venuto il mal d’India invece che d’Africa. Quell’India, che Mariella Gramaglia, giornalista e studiosa del movimento delle donne, definisce “il cuore della democrazia più complicata del mondo”. Accadde così: un giorno Ela, stava parlando con una commerciante di vestiti usati e questa le disse: il problema di noi donne povere è ottenere dalle banche quei pochissimi soldi a tassi agevolati, tali da permetterci di avviare un’attività. “Ma perché non facciamo noi una nostra banca?” le chiese. La risposta di Ela fu ovvia: “Perché non abbiamo soldi. Servono tantissimi soldi per aprire una banca”. E la donna, povera ma illuminata, replicò: “Siamo povere, ma siamo così tante!”. Davanti a un pensiero così semplice, ma e al tempo stesso così lucido e potente, Ela lavorò incessantemente e in soli sei mesi, raccolse 4000 membri, emettendo azioni da 10 rupie ciascuna, ottenendo così un capitale tale da poter rendere possibile quell’idea.

La banca di Sewa, nata nel 1974, ha come azioniste le lavoratrici autonome: le politiche sono formulate da un consiglio eletto tra loro stesse, che la possiedono e ne gestiscono gli interessi e l’amministrazione. Oggi Sewa Bank cura il risparmio e il credito di tantissime donne povere. È costituito solo da donne lavoratrici: sigaraie di bidi, stampatrici e ricamatrici di tessuti, materassaie e riciclatrici di tessuti vecchi con cui fare coperte o tappeti, trasportatrici di mattoni e pietre nei cantieri, venditrici di frutta o verdura per strada o nei mercati, lavandaie, cuoche e cameriere di famiglie, addette alle pulizie in scuole e ospedali, raccoglitrici e riutilizzatrici di carta e metallo tra immondizie: un grande sindacato senza classe operaia, un’incredibile quanto improbabile movimento femminista che non ha nulla a che vedere con quelli occidentali ma con una forza straordinaria. Si batte contro gli usurai. Prende a cuore la sorte delle madri incinte e delle vedove. Contrasta i conflitti tra le caste e le comunità che infiammano e insanguinano l’India. Mariella Gramaglia, dopo aver vissuto lì tanto tempo, al suo ritorno, ci ha regalato un bellissimo libro, “Indiana”, edito da Donzelli, in cui ci racconta dell’India di Ela. Di come oggi il sindacato investa sulla saggezza antica delle levatrici, e sulla loro formazione nella contraccezione, la prevenzione dell’ Aids, l’ alimentazione. L’India è il paese in cui nascono poche bambine, in un mondo che, se sarà salvato – scrive Sofri – lo sarà probabilmente dalle donne. Un antico proverbio del Ghana, che spicca davanti ai miei occhi attaccato al monitor con un po’ di scotch ormai ingiallito, affinchè io stessa non lo dimentichi MAI, dice: “Educa un bambino, educherai un uomo. Educa una bambina, educherai un popolo.

In India si stima siano mancate cento milioni di bambine in un decennio. In India l’aborto è legale dal 1972, l’ecografia per tutti i fini diagnostici di tipo sanitario è legittima e diffusissima: ambulatori installati su piccoli pullman vanno di villaggio in villaggio e offrono il servizio alla modica cifra di 150 rupie. Certo, è vietato per legge rivelare il sesso dell’embrione, ma esiste un codice fra medici e famiglie: «Torni lunedì», vuole dire che l’embrione è maschio, «Torni venerdì» che è femmina. Poi si troverà una motivazione da dichiarare al momento dell’aborto. L’India sta crescendo al 9,2 per cento annuo e i ceti medi colti, quelli inseguono disperatamente la strada dello sviluppo e del consumo, vogliono pochi figli, ma soprattutto, dovendo scegliere, rigorosamente maschi. Sono in vigore oggi delle “quote” femminili, dai consigli di villaggio fino al parlamento nazionale, che hanno sì una qualche efficacia, indebolita dalla resistenza maschilista che produce una vera e propria strage d’innocenti non nate.

Sewa ha avuto una grande leader: Ela Bhatt. Un esempio di Amore e Ardore per tutte noi. Non dimentichiamola, ma cerchiamo anzi di imparare da lei e alimentare il Fuoco di ogni nostra pira interiore, di ardere, bruciare, incendiare, divampare, distruggere e trasformare in meglio tutto quello che è ostacolo alla giustizia e alla realizzazione di noi stesse. Di ognuna di noi. Il suo esempio è chiaro. Non siamo sole, perché siamo tante. (R.F.)

Fonti:
1. la Repubblica.it , 13 giugno 2006, Un’ italiana nell’ india delle donne coraggiose di Adriano Sofri.
2. Bhatt, ER (2006). Siamo povere ma così tante: la storia delle donne autonome in India . Oxford, Oxford University Press
3. Ela Bhatt, la leader Indiana che ha fatto crescere nuove leader 20 agosto 2007 di Mariella Gramaglia
4. India, parte la campagna “Non buttate le bambine” : il nuovo ceto medio vuole pochi figli e preferisce i maschi – La Stampa 12-6-2017
5. Le sorelle in lotta del sindacato Sewa di Laura Salvinelli
6. “Storia di Sewa, uno strano sindacato inventato da donne parte 1-2-3 ”da Ordito e Trama, il blog di Mariella Gramaglia (17-21-27 maggio 2007)
7. http://www.promozioneumana.it/it/notizie/news/2017-11-09-i-grandi-maestri-dellumanita-ela-bhatt
8. Roberta Franchi- Il corpo narrante- Carocci editore 2015
9. FILM DOCUMENTARIO DA NON PERDERE: It’s a girl 

1 Comment
  • Marina Rondelli
    Posted at 09:49h, 01 Maggio Rispondi

    Grazie x avermi fatto conoscere E la Bhaat

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