Melanie Klein e Anna Freud

Melanie Klein e Anna Freud

Chi dice che solo i maschi vogliono essere l’unico gallo del pollaio? Quando ci impegniamo, noi donne non siamo certo da meno! Il conflitto fra Anna Freud e Melanie Klein per il predominio della psicoanalisi britannica fu lungo, accanito e insanabile. Per molti anni a Londra, nella storica sede al 96 di Gloucester Place volarono gli stracci, eccome.

Tutto era cominciato nel 1926 quando da Berlino arrivò una sorta di parvenu della psicoanalisi, Melanie Klein, nata Reizes, ebrea austriaca, divorziata, tre figli di cui due al seguito. Senza essere laureata, aveva fatto l’analisi a Budapest con Sàndor Ferenczi prima che questi venisse estromesso da Freud e da lui era stata incoraggiata e introdotta nell’ambiente. Certo l’intraprendenza non le mancava: poiché non aveva ancora pazienti, pubblicò, nel 1921, un saggio sull’analisi di un bambino in cui spiegava anche quali consigli aveva dato alla madre…che era lei stessa. E’ vero che all’epoca non si stava certo a spaccare il capello in due, anche Freud aveva analizzato l’altra nostra eroina, la figlia Anna, ma ciò era risaputo. Melanie invece tenne il segreto su questa fusione dei ruoli che riguardava, probabilmente, anche gli altri due figli.

Melanie Klein

I tre malcapitati cercarono in vari modi di ribellarsi: Hans volle restare con il padre dopo il divorzio e morì qualche anno dopo in un incidente stradale. La figlia primogenita, Melitta, divenne psicoanalista e prese decisamente le parti di Anna Freud, il terzo, Erich, finì in analisi da Donald Winnicott (un grande: a lui si devono i concetti di “vero e falso sé” e di “madre sufficientemente buona”), il quale fu costretto a impedire a Melanie, impicciona, di intromettersi anche questa volta. Chi scrive si interessa dell’argomento e, avrete già compreso, non apprezza particolarmente la Klein. Soprattutto, in questa disinvoltura legge una grande ansia di affermarsi, e va bene, ma anche risvolti inquietanti dal punto di vista clinico e teorico per l’impossibilità di distinguere la madre dall’analista.

Parliamo, ad esempio, della famosa “posizione schizo-paranoide”, uno dei cardini dell’insegnamento kleiniano, che è una fase molto antica dello sviluppo in cui il bambino tiene separati il “seno buono” e il “seno cattivo” senza integrarli in un unico “oggetto”. In pratica, la madre è tutta buona o tutta cattiva e l’umore del pargolo anche. Questo viene postulato come una fase oggettiva e normale che si inserisce nella dialettica freudiana fra pulsione di vita e pulsione di morte. Sorge però il sospetto che i figli/pazienti e gli altri bambini analizzati in seguito semplicemente reagissero agli sbalzi d’umore e di comportamento della mamma/analista e poi delle loro rispettive madri, sviluppando quello che oggi si chiamerebbe un attaccamento disorganizzato.

In effetti Melanie Klein faceva un effetto ambiguo anche sugli adulti: chi la riteneva una donna bella e affascinante chi una ridicola seduttrice fuori tempo. Forse chi l’ha descritta nel modo più azzeccato è Virginia Woolf, la quale ne ha messo in luce l’energia avvolgente, la vivacità, la forza del carattere. E certo Melanie doveva averne in abbondanza di queste prerogative, visti anche i gravi lutti che avevano segnato, fin dai primi anni, la sua vita. E furono tali prerogative a consentirle di affermarsi nella Società psicoanalitica britannica e poi internazionale, ad avere allievi e seguaci come lo stesso Winnicott, ma soltanto nei primi tempi, Paula Heimann, Susan Isaacs e Joan Riviere. Si costituì quindi un piccolo e combattivo gruppo che proponeva profonde modifiche alle teorie dello sviluppo e al trattamento clinico freudiano classico. Ad esempio, i bambini, che costituivano la maggioranza dei pazienti, non stavano certo fermi sul lettino ad ascoltare le interpretazioni, così queste ultime vennero veicolate tramite il nuovo metodo della “play therapy”, la terapia del gioco.

Tale era la situazione quando nel 1938 arrivò, a seguito del padre che morì poco dopo, Anna Freud. Il suo carattere non poteva essere più diverso. Quanto Melanie era sulfurea, tanto Anna era ordinata, limpida. Il suo libro sui meccanismi di difesa è scritto in uno stile piano, perfettamente comprensibile anche ai non addetti. Ultimogenita del patriarca e l’unica a seguire le sue orme professionali, non era mai stata sposata, non aveva figli e convisse per quaranta anni con Dorothy Burlingham, americana, erede della famiglia dei gioiellieri Tiffany, quelli della Colazione con Audrey Hepburn. Dorothy invece aveva avuto un marito e quattro figli e si era trasferita a Vienna per fare l’analisi con Freud a metà degli anni ’20. Lì lei e Anna si erano conosciute e frequentate e insieme misero su casa a Londra.

Anna Freud

Ovviamente l’arrivo della figlia di Freud terremotò i già faticosi equilibri della Società psicoanalitica. Anche Anna si occupava prevalentemente dello sviluppo infantile e in più era, come dire, la custode dell’ortodossia paterna. In pratica riteneva che il bambino non sia analizzabile perché, ovviamente, non fa il transfert, senza il quale l’analisi non esiste proprio. Secondo la Klein, invece, il bambino è mostruosamente precoce e fa un embrione di transfert proiettando sull’analista paure, angosce ed “oggetti” buoni o cattivi che si possono benissimo elicitare usando come mezzo il gioco (scusate l’approssimazione…).

Ma accanto alle divergenze teoriche e cliniche c’erano conflitti gestionali, amministrativi e soprattutto personali. Ognuna aveva i suoi seguaci e addirittura la figlia di Melanie Klein, Melitta Schmideberg scelse di far parte del gruppo di Anna Freud. Ad un certo punto si tentò un confronto, le cosiddette “Controversial Discussions”, una serie di incontri che andarono avanti per un anno e mezzo, dal 1942 all’inizio del 1944, (fra l’altro, nel peggior periodo dei bombardamenti aerei sull’Inghilterra) ma non cavarono un ragno da un buco. La Società non si spaccò, ma vennero adottate due linee formative diverse e parecchi analisti, stanchi delle continue baruffe, formarono il gruppo degli Indipendenti o Middle Group, cui finì per aderire anche il saggio Winnicott, che appunto non prendeva posizione in favore né dell’una né dell’altra.

La conclusione? Anna Freud viene ritenuta la caposcuola della “Ego Psychology”, la Psicologia dell’Io, sviluppata poi negli Stati Uniti da Heinz Hartmann, David Rapaport e molti altri, che hanno valorizzato l’aspetto della coscienza libera (relativamente) da conflitti, razionale e realistica. Melanie Klein…il contrario. Oltre alla scuola kleiniana vera e propria, di cui hanno fatto parte, fra gli altri, l’affezionata collaboratrice Hanna Segal e il geniale Wilfred Bion, le idee della Klein hanno ispirato la “teoria delle relazioni oggettuali” affermatasi in ambito britannico con Ronald Fairbairn e Harry Guntrip. Anche alcuni autori che potremmo definire della “psicoanalisi inquieta”, come Jacques Lacan, fanno riferimento a lei.

Melanie morì nel 1960. Dorothy nel 1979. Anna nel 1982. Melitta, che dopo la guerra si era trasferita negli Stati Uniti occupandosi di delinquenza giovanile, tornò in Inghilterra soltanto dopo la scomparsa della madre e morì nel 1983.

Riferimenti
Anna Freud, L’Io e i meccanismi di difesa, 1967, Martinelli
Phyllis Grosskurth, Melanie Klein, 1988, Bollati Boringhieri
Pearl King, Riccardo Steiner, The Freud-Klein Controversies 1941-1945, 1990, Tavistock
Melanie Klein, La psicoanalisi dei bambini, 2014, Giunti
Julia Kristeva, Melanie Klein, la madre, la follia, 2006, Donzelli
Meira Likierman, Melanie Klein, 2001, Bloomsbury
Hanna Segal, Melanie Klein, 1981, Bollati Boringhieri
Elisabeth Young- Bruehl, Anna Freud, 1993, Bompiani
Donald Winnicott, I bambini e le loro madri, 1987, Raffaello Cortina
https://www.stateofmind.it/2018/02/donald-winnicott-psicologia
https://melanie-klein-trust.org.uk/wp-content/uploads/2019/06/MK_full_autobiography.pdf

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